28/01/2013

Renzo Rosso: "Mi metto in gioco per l'Africa”

Il patron della Diesel ha creato una fondazione che lavora soprattutto in Africa

LA VISIONE DI ROSSO - "Le aziende che producono ricchezza devono redistribuire i loro profitti anche in ambito sociale, non solo nel proprio business. Credo che debbano restituire al territorio quello che in qualche modo ricevono”.
La originalità e il pragmatismo di Renzo Rosso, il fondatore della Diesel, si dimostra anche nella visione chiara del “fare affari”. La sua idea nasce da un radicamento nel territorio e nella più genuina tradizione artigianale e culturale veneta, per cui quello che si riceve bisogna restituirlo e quello che si ottiene con fatica e assiduo lavoro non ci appartiene in tutto e per tutto, va in qualche modo condiviso e restituito. Per questo spirito di attenzione e sensibilità al sociale, senza tante formalità e alchimie burocratiche, il vulcanico Renzo Rosso ha deciso di creare una fondazione che raccoglie parte dei proventi economici della famosa Diesel e degli altri brand del gruppo per farli confluire nella fondazione Only the brave.
Abbiamo incontrato il suo fondatore e presidente per capire meglio la identità e mission della sua nuova creatura. Ci ha accolti con la sua contraddistinta semplicità, cordialità e disponibilità nella sua sede di Breganze, in una pausa durante la presentazione della nuova collezione primavera-estate del 2013.

- Signor Rosso quando è nata l’idea di creare una fondazione?
"Ero in viaggio aereo da Edimburgo a Roma insieme al Dalai Lama, nel 2009, e parlammo di tante cose, in particolare lui mi spronò a ‘usare’ il mio nome e la mia azienda per fare qualcosa di concreto per le popolazioni più disagiate. Fu quindi lui a darmi l’idea. E l’ho colta al volo immediatamente, e non solo perché eravamo in aereo. Fa parte della mia storia e della tradizione della mia terra essere attento e solidale con la mi terra. Ho sempre avuto un impegno nel sociale, ma senza farmi vedere, senza mostrarmi. Adesso mi sono messo in gioco, me stesso e il mio brand, per dare maggior forza e peso alla lotta contro la povertà”.

- Quindi si sente in parte responsabile per l’Africa?
"Lo stesso Dalai Lama mi ha spinto per diventare un leader sociale, cioè usare il mio nome per spingere anche altri imprenditori a fare altrettanto. Nella mia posizione ho la possibilità di avere tanti contatti e di metterli a servizio per dare sviluppo e opportunità ai popoli più poveri”.

- Perché ha scelto l’Africa? Ci sono già abbastanza soggetti che operano lì e purtroppo i problemi sono ancora tanti...
"È vero che anche recentemente mi hanno chiesto di dare il mio contributo ad altre parti del mondo in gravi difficoltà, ma purtroppo le realtà bisognose sono tante e bisogna fare una scelta. Io ho deciso per l’Africa in quanto è il continente più bistrattato, è l’ultima parte della terra chiamata allo sviluppo. Quel continente è ricco di giovani e di materie preziose, è un luogo e una risorsa che deve essere sviluppata. Ho scelto l’Africa perché quando la visiti ti colpisce, ti resta dentro qualcosa di particolare, ti coinvolge e ti prende. Poter fare qualcosa mi riempie di gioia, di soddisfazione”.

- Con quali risorse siete partiti?
Abbiamo raccolto dalle varie realtà del gruppo una parte degli utili e nel 2009 siamo partito con la fondazione Only the brave e circa 2 milioni di euro. Abbiamo iniziato in sordina, senza fare troppo rumore per cercare di capire come muoversi bene e concretamente. Non volevo fare cose teoriche e lente, senza ripercussioni concrete sulla vita delle persone. Le nostre azioni devono essere incisive, non inutili parole e progetti”.

- E come funziona l’azione della Otb foundation?
"È la stessa filosofia del resto del gruppo, cioè innovazione, sostenibilità, impatto sociale e replicabilità”.

- E le risorse economiche?
"Il 10% dei soldi li investiamo sul territorio dei dintorni di Breganze, Bassano e del Vicentino. All’inizio davamo i soldi, una sorta di assegno mensile, ma ci siamo accorti che la gente ne approfittava, allora abbiamo pensato di creare lavoro, lavori socialmente utili con cui stimoliamo a lavorare”.

- Il restante 90%?
"Lo investiamo in Africa. Adesso abbiamo un grosso progetto in un villaggio del Mali, dove sono stato più volte. Io stesso da una mano a costruire, a realizzare, mettendo in pratica anche la mia esperienza di interior design. E anche mi piace lavorare con loro nell’agricoltura, coltivare l’orto, scegliere quali culture mettere e come turnarle. L’ho fatto da bambino e così ho recuperato una parte della mia stessa esperienza. Mi piace proprio lavorare con loro, mettermi al loro fianco”.

- Avete tanti progetti?
"Moltissimi. Basta andare sul sito e inserirne uno, poi c’è una commissione che li valuta e porta avanti quelli che sono più innovativi, sostenibili, replicabili e di impatto sociale”.

- Ce ne può dire uno?
"Uno davvero bello e originale, per ora, è quello di un belga che ha individuato una specie di topi che sono i migliori scopritori delle mine antiuomo. Una cosa incredibile ma davvero efficace, precisa, veloce e poco costosa. Sono topi che si trovano dappertutto, che non devi ‘allenare’ ma hanno in sé questo particolare olfatto che scopre le mine sotto terra. Uno strumento che rende estremamente importante per aiutare le popolazioni a sminare i propri campi e le proprie strade, senza la paura di saltare in aria”.

- Poi in Mali cosa state facendo?
"Abbiamo costruito una scuola, un pozzo. Vogliamo dare innanzitutto educazione e insieme le strutture fondamentali, come la scuola, l’ambulatorio e la chiesa. Dobbiamo fare le cose un po’ alla volta”.

- Ma l’obiettivo finale è il pozzo o altro?
gÈ dare lavoro. Dopo aver dato le basi dell’educazione noi vogliamo dare lavoro. In Mali ad esempio hanno tanto cotone, così l’obiettivo è quello di dare anche un know how sul lavoro, dando anche a loro le nostre competenze, quello che sappiamo fare e dare”.

- Quale risposta avete dagli africani?
"Bellissima. Lo vedi dalle facce, dalle espressioni del volto. Sono contenti, sorridenti, felici di aver un’opportunità. Mi sembra di rivedere gli stessi effetti che ho visto quando sono stato nei paesi dell’Europa dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino. La gente cambia, vedi che hanno anche tra di loro un atteggiamento diverso, di maggior rispetto, dignità”.

- Anche da parte delle autorità?
"Mi ricordo la festa con cui mi hanno accolto. Sono contenti perché siamo gente concreta. A noi non interessa essere donatori, e farci la foto. Noi vogliamo partecipare e fare cose concrete. Siamo dei partner non dei donatori”.

- Ma la vostra azione non rischia di essere una delle tante che ci sono in Africa, e di affiancarsi alle ong, piuttosto che ad altri soggetti presenti lì, senza dare un vero cambiamento?
"Noi facciamo il nostro piccolo, ma credo che l’esperienza della cosiddetta ‘primavera araba’ sia un segnale di quello che accadrà anche nella zona del sub Sahara. È il web che farà il cambiamento. Oggi internet sta rivoluzionando tutto e tutti. Anche il tiranno più feroce non potrà avere vita lunga se c’è educazione e internet per la gente. È per questo più importante dare un’educazione che un lavoro. Il mondo cambia attraverso l’informazione e l’educazione”.

- Quale il vostro segreto?
"Io credo molto nel nostro modus operandi della gestione delle risorse umane, che è friendly, così le persone si sentono libere e genuine e lavorano meglio, danno di più. Gli schemi troppo rigidi vanno superati. Io sono convinto che il nostro modus operandi possa essere esportato e utilizzato per dare slancio alle competenze, alla creatività e capacità delle persone”.

- Ma non avete paura di essere i nuovi colonizzatori dell’Africa?
"No assolutamente, anche se in qualche modo fa parte della storia di tanti popoli. Noi stessi siamo stati invasi e colonizzati. Oggi poi c’è l’informazione che rende più liberi. Internet, ripeto, è lo strumento formidabile che permette alle persone di essere libere, di sapere, di cercare e di trovare quello che vogliono. Una volta era la religione che ci insegnava e ci costringeva a seguire le regole, la verità. Oggi è l’informazione che ci dà la libertà, è la nuova religione. Oggi la tecnologia ci ha permesso di avere tanti modi per sapere e conoscere”.

- Insomma internet salverà l’Africa?
"Internet allarga i contatti e le fonti di informazione. Ci costringe a essere noi stessi, genuini. Sul web non puoi fare finta, né sgarrare perché gli internauti ti ‘massacrano’ subito. Devi essere te stesso, e questo vale per tutti”.