18/11/2019

Export di beni di consumo di fascia alta: Italia terza al mondo

A Vicenza presentato il rapporto Esportare la Dolce Vita. Il "bello e ben fatto" vale 86 miliardi di euro. Ce ne sono altri 45 miliardi di export potenziale. I paesi su cui puntare? USA, Germania, Cina, Giappone, Regno Unito.

L’Italia è campione di qualità nel mondo attestandosi al terzo posto nella classifica internazionale degli esportatori dei beni finali di consumo di fascia alta. Le eccellenze del made in Italy (il bello e ben fatto) valgono 86 miliardi di euro di export nel mondo, rappresentano il 15,6 per cento delle esportazioni complessive dell’Italia e sono trasversali a tutti i principali comparti.

È quanto emerge dalla decima edizione di “Esportare la Dolce Vita”, il rapporto realizzato dal Centro Studi di Confindustria a Vicenza, nella sede degli Industriali berici.
"Presentare il rapporto a Vicenza credo nasca del riconoscimento del ruolo che gli esportatori veneti e vicentini hanno acquisito e consolidato nel panorama industriale italiano. Al nostro export dobbiamo molto - ha dichiarato Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, nei saluti iniziali dell'evento -. La crescita della ricchezza globale e l’emergere di un significativo potere d’acquisto nei mercati emergenti, rappresentano opportunità formidabili per l'industria del Made in Italy, davvero unica del coniugare il bello ed il ben fatto. Lasciatemi dunque concludere con un auspicio: che il bello e il ben fatto diventino un obiettivo per tutto il Sistema Italia. Ma per farlo non si può prescindere da un fattore ben preciso: l'innovazione continua. Sarebbe bello che il Sistema Paese, anziché fare i conti su quanto far durare Quota100 o sui navigator, parlasse di università, università e università".

La ricerca quest’anno si focalizza su “Il potenziale dei beni finali di consumo belli e ben fatti sui mercati esteri” con l’obiettivo di fornire un quadro delle aree geografiche, i settori su cui puntare e il tipo di concorrenza con cui è necessario misurarsi. I prodotti belli e ben fatti sono tutti quei beni finali di consumo che l'Italia esporta a prezzi elevati e che si contraddistinguono per design, cura, qualità dei materiali e delle lavorazioni, contribuendo a diffondere nel mondo l’immagine dell’Italian way of life.

Lo studio stima per il bello e ben fatto un ulteriore potenziale di export di quasi 45 miliardi di euro, di cui 33,5 mld verso i paesi avanzati e 10,9 verso gli emergenti.
I paesi avanzati su cui puntare sono: Stati Uniti (8,2 miliardi di euro), Germania (3,3 miliardi), Giappone (2,6 miliardi), Regno Unito (2,5 miliardi) e Francia (2,1 miliardi).
Tra le economie emergenti i mercati principali risultano Cina (3,3 miliardi di euro), Emirati Arabi Uniti (1,3 miliardi), Qatar (0,8 miliardi), Arabia Saudita (0,8 miliardi) e Russia (0,6 miliardi).

Per quanto riguarda i settori, oltre a quelli che rientrano nelle cosiddette “tre F” di fashion, food, furniture, i comparti a più alto contenuto di prodotti di qualità ed eccellenze spaziano su un’ampia gamma che va dalla cosmetica alla ceramica, dalla nautica ai motocicli. Tutti settori che sono stati tra i più dinamici dopo la crisi del 2008.
L’Italia, inoltre, è prima al mondo per quote di bello e ben fatto in Legno e arredo, Pelletteria, Calzature, Tessile e abbigliamento.

Le crescenti spinte protezionistiche, infine, rischiano di danneggiare molti comparti del made in Italy e di ridimensionare il loro potenziale di crescita verso numerosi mercati di sbocco, USA in primis. Seppure l’Italia non è per ora tra i paesi più colpiti, alcuni prodotti legati al bello e ben fatto ne sono già risultati danneggiati. La risposta in questo contesto di crescenti tensioni viene dagli accordi commerciali, che aiutano a creare certezze per favorire gli scambi.
Nel rapporto si approfondiscono tre accordi sottoscritti dall’Unione europea negli ultimi anni, ossia quelli con il Canada, la Corea del Sud e il Giappone.

Per concludere, “Esportare la Dolce Vita” indica tre assi su cui puntare per trasformare l’export da potenziale in effettivo: continuare a promuovere gli accordi commerciali, potenziare la presenza del made in Italy sulle piattaforme di e-commerce e contrastare i fenomeni dell’italian sounding e della contraffazione.

Su questo rapporto, presentato da Licia Mattioli, Vicepresidente per l’Internazionalizzazione di Confindustria, e Beniamino Quintieri, Presidente di Sace; si sono confrontati in una tavola rotonda tre "campioni" veneti del bello e ben fatto, Mario Moretti Polegato, Presidente Geox, Michele Bauli, Presidente Bauli S.p.A., Luigi Lucchetta, C.O.O. Barovier & Toso., che hanno discusso, moderati dal direttore di How to Spend It Italia Nicoletta Polla Mattiot, anche con Alberto Forchielli, Partner fondatore di Mandarin Capital Partners (la registrazione completa della presentazione e della tavola rotonda sarà disponibile - per gli associati - sulla piattaforma video di Confindustria Vicenza).

In questo senso, aggiungendo il tema della formazione, è intervenuto nella sua prima uscita ufficiale da Presidente di Confindustria Veneto anche Enrico Carraro: "Secondo un’indagine condotta quest'anno da Sistema Moda Italia, a fronte di 580.000 dipendenti del settore moda, servirebbe l’inserimento di 50.000 giovani nei prossimi 5 anni. I circa 3.000 giovani che ogni anno concludono percorsi di istruzione tecnica nella moda non sono sufficienti a colmare questo gap. La situazione non è diversa nella nostra regione: 60.000 dipendenti nel settore moda, con una presenza di oltre il 30% di lavoratori over 50. Bisogna perciò investire su famiglie, scuole e imprese per sviluppare una conoscenza e una cultura fortemente connessa alla manifattura: il rischio è di perdere uno, se non il principale, fattore competitivo del nostro Paese.
Infine, un dato preoccupante riguarda il ritardo delle nostre imprese nei sistemi di vendita on line; dovuto da un lato al posizionamento B2B di molte imprese, con un modello di business non "abituato" a vendere al consumatore finale, dall'altro al gap di banda larga del nostro Paese. Si tratta di una criticità da risolvere in fretta perché, proprio per le caratteristiche del nostro ecosistema, questa nuova opportunità di mercato non può e non deve essere persa.
Come fare? Bisogna investire sulla cultura imprenditoriale e facilitare l'inserimento in azienda di risorse "4.0" anche nel marketing e nella vendita".

Per leggere il Rapporto completo, realizzato con il sostegno di Sace Simest, la collaborazione con la Fondazione Manlio Masi e il contributo di Confindustria Ceramica, Cosmetica Italia, Federalimentare e Ucinam: clicca qui.