03/11/2020

"Politica inadeguata al momento storico. Si dia finalmente ascolto alle generazioni che possono guidare il cambiamento"

La grande preoccupazione dei Giovani Imprenditori nella lettera della presidente Giulia Faresin.

Riportiamo la lettera aperta di Giulia Faresin, presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Vicenza.



Ho fatto della “non-lamentela” il manifesto del mio mandato da presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Vicenza. Ho sempre ritenuto che la lamentela, soprattutto fine a se stessa, non possa portare a nulla di buono, per questo motivo ho scelto di mettere sempre in primo piano ciò che c’è di buono. Per fare davvero la differenza abbiamo bisogno di essere positivi e propositivi, non di piangerci addosso: guardiamo alla soluzione, non restiamo impalati a fissare il problema.

Devo però ammettere che la situazione che stiamo attraversando non aiuta a mantenere fede a questo impegno. Chiamiamo le cose con il loro nome: questa è – con buona pace di chi afferma il contrario – l’alba di un nuovo lockdown. La spettacolarizzazione della politica ce la sta facendo vivere come si vive una serie tv, se non fosse per la mancata puntualità. Lo spettacolo va in onda preferibilmente nel fine settimana, preceduto da un po’ di spoiler e anticipazioni scomposte, per poi aggiornare piano piano una lista di provvedimenti ibridi, confusi, insufficienti, e talvolta semplicemente sbagliati.

Un esempio su tutti: l’istruzione, tema sul quale sono opportunamente intervenuti poche settimane fa anche i colleghi Mario Carraro (vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega all’Education) e Lara Bisin (coordinatrice della Commissione Scuola di Confindustria Vicenza). Quanto tempo è stato sprecato in dibattiti inutili e quante risorse economiche sono state destinate alla grande farsa dei banchi a rotelle? Un discorso serio sulla formazione sta al tipo di banco da usare come la scelta del quadro da appendere sta al tipo di martello con cui piantare il chiodo sulla parete. L’impressione ricorrente è che alla classe dirigente manchi completamente il polso della realtà. Il fatto che la realtà che viviamo sia complessa e corra a velocità mai viste prima non è una scusa per non affrontare le cose per quello che sono e per non prendere le decisioni che servono.

Il sistema formativo italiano, che sotto diversi aspetti resta uno dei migliori al mondo, fa però acqua già da tempo per altri versi, l’emergenza Covid ne impone un ripensamento generale che comprende anche l’organizzazione logistica, qual è la risposta del Governo? Banchi a rotelle e ingressi scaglionati. Spiacente, risposta sbagliata. Il modo di fare le cose che ci ostiniamo a riprodurre non è più attuale, e ogni resistenza al cambiamento sarà inevitabilmente frustrata dal fatto che le cose cambiano: o stiamo al passo o restiamo indietro.

La nuova formazione non richiede in primis i banchi a rotelle, ma una ristrutturazione dalle fondamenta di un sistema ormai stantio, una rivoluzione per certi versi, che privilegi per ovvi motivi la didattica a distanza, e che finalmente inizi a considerare il fatto che l’offerta formativa va ricalibrata, dall’asilo alla formazione post-universitaria, avendo a cuore prima di tutto il futuro degli studenti e quindi gli sbocchi professionali reali richiesti dal mondo del lavoro reale.

Niente di tutto ciò è all’orizzonte, ma solo provvedimenti tappa-buchi. Cosa ci viene detto per provare a placare gli animi? Che questo è l’unico modo per salvare vite e salvaguardare l’economia.

Ancora una volta, a mio parere, la risposta non è corretta. L'economia si salva con la capacità politica di prendere decisioni tempestive e univoche, non con continui aggiustamenti e con la discutibile abitudine di rassicurare le categorie più colpite con la promessa di contributi e ristori, atteggiamento che non fa altro che accrescere uno sconsiderato assistenzialismo.

Chi fa impresa, dal ristoratore alla grande manifattura, ha ben chiaro quello che deve fare, probabilmente ha già provveduto con diversi investimenti per rispettare le norme e garantire la sicurezza propria, dei collaboratori e dei clienti. Ripetiamolo ancora una volta: non abbiamo bisogno di sovvenzioni statali, ma che ci sia data la possibilità di lavorare e sostenere l’economia del nostro paese; non vogliamo uno stato imprenditore che ci impedisca di fare gli imprenditori, ma uno stato che ascolti le nostre esigenze e tolga i legacci che frenano il potenziale delle nostre industrie.

Un virus non può essere né il volano di un cambiamento fino ad ora mancato, né l’alibi per mettere la testa sotto la sabbia e non fare nulla pur di non guardare in faccia le cose. Il virus è una sorta di accento, una lente di ingrandimento, un acceleratore come si è spesso sentito dire, che ci mostra ciò che già sapevamo: che non c’è più tempo, che non possiamo più rimandare, e che se vogliamo sperare di parlare di “next generation” è il caso che si dia un po’ più ascolto alla “now generation”, alla generazione di adesso, per affrontare adeguatamente, qui e ora, ciò che è stato lasciato in sospeso già troppo a lungo.