11/04/2016

L’imprenditore: uno dei migliori “prodotti” del Made in Italy

L’Italia è un paese con un tasso maggiore di lavoratori indipendenti rispetto a Francia e Germania, il CSC ha realizzato un “identikit” dell’imprenditore italiano.

Si è svolta a Parma il convegno Biennale Centro Studi Confindustria che quest’anno si è concentrato sulla figura dell’imprenditore come motore dello sviluppo economico e civile delle nazioni, tema oggetto di uno studio ad hoc e di una corposa pubblicazione intitolata “Gli imprenditori” a cura di Luca Paolazzi (Direttore Centro Studi Confindustria), Mauro Sylos Labini e Fabrizio Traù ed edito da Marsilio.

La distribuzione degli imprenditori nel tempo e nello spazio è determinante per la performance economica di una regione e di un paese, in assoluto e nel confronto con gli altri – ha illustrato Paolazzi -. Sono, però, appena il 2,2% della popolazione italiana (0,4% quelli manifatturieri).
L’Italia però, in questo campo, può vantare dei numeri record in Europa: nel 2014 gli occupati indipendenti erano cinque milioni e mezzo, circa un occupato su quattro (24,9%), quota più che doppia rispetto a quelle di Germania e Francia (anche i datori di lavoro sono molti di più rispetto alla media UE, a Francia e Germania, sia nel manifatturiero che non).
I lavoratori indipendenti sono soprattutto uomini (68,6%), più spesso nati al Nord (47,4%), con una esperienza lavorativa (il 30,4% ha oltre 50 anni), spinti soprattutto dal desiderio di autonomia (83,3%), il voler sviluppare un’idea di business (62,2%) mentre le prospettive di reddito sono solo al terzo posto (60,9%).

A tracciare l’identikit dell’imprenditore ha contribuito anche il sociologo Daniele Marini: “In Italia gli imprenditori sono spesso ex dipendenti che hanno poi avuto una spinta endogena – non costretta da eventi esterni – a mettersi in proprio”. E questo è vero più nel Nord-est – con il 59% di ‘neo imprenditori’ rispetto al 41% di imprenditori ‘da sempre’ - che nel resto d’Italia. “Oggi – ha aggiunto Marini cercando di definire l’identikit dell’imprenditore post crisi – sono necessarie molte più competenze di un tempo. Se prima era vincente un modello più fordista in cui l’imprenditore incarnava in tutto e per tutto l’azienda ed era una sorta di leader solitario, oggi c’è bisogno del team e che l’imprenditore sia in grado di guidarlo grazia a quella che definisco una leadership manageriale”.

Sul palco anche il presidente della Piccola Industria Alberto Baban che ha sottolineato l’importanza sempre più cruciale della reputazione – è la cosa più importante per un imprenditore – e anche la necessità di ripensare il racconto del fallimento: “Si fallisce una volta sola: quando si smette di ritentare”.

Per arricchire la dotazione imprenditoriale il CSC individuato alcune azioni che possono essere messe in campo dalla politica, dalle associazioni e dagli imprenditori stessi.


Le azioni della politica

Istruzione e formazione fin dall’infanzia per favorire apertura mentale e coscienziosità, aumentare la consapevolezza dell’essere imprenditori, agevolare la trasmissione di sapere codificato, potenziare le capacità manageriali.

Accesso alla finanza di impresa (fondi di private equity e venture capital) come nuova fonte di imprenditorialità, legata all’avvento delle nuove tecnologie.

I servizi reali possono aumentare il tasso di sopravvivenza. Solo il 40-50% delle imprese supera il settimo anno di vita.

Abbassare le barriere all’imprenditorialità femminile e all’immigrazione qualificata.


Le azioni delle associazioni

Formazione sia su temi sia per diffondere l’alta cultura d’impresa

Una forte campagna di comunicazione che avvicini l’immagine degli imprenditori

Potenziare le già molte collaborazioni con le scuole, estese anche alle elementari per stimolare creatività, spirito d’iniziativa, sperimentazione.

Incoraggiare l’imprenditoria femminile dando maggiore visibilità (anche con cariche associative) a quante già lo fanno.

Supportare gli startupper intensificando le relazioni con le università.

Più capillare reclutamento di stranieri qualificati.


Le azioni degli imprenditori

L’imprenditore deve proporre un atteggiamento favorevole al cambiamento in ambito tecnologico, organizzativo e strategico, che superi i protagonismi individuali per muoversi in una dimensione collettiva.


Partendo da un anno spartiacque, il 2008, lo studio definisce poi le abilità e le funzioni necessarie oggi all’imprenditore rispetto al paradigma pre-crisi.

Saper innovare è oggi considerata l’abilità di gran lunga più importante, seguita dal saper lavorare in team e dalla capacità di valorizzare i lavoratori. Solamente al quarto posto la capacità di rischiare che, prima del 2008 era l’abilità principale. Allora, al secondo posto, c’era il saper decidere da solo che oggi – quando l’abilità di fare squadra conta percentualmente per oltre il triplo rispetto all’individualismo – è invece solo al quinto posto. Il cambio di paradigma è evidente.

Tra le funzioni che occorre saper gestire, le relazione con i clienti diventa quella principale (prima del 2008 era la seconda) sopravanzando la gestione del processo e del prodotto . Seguono le funzioni commerciali, la comunicazione e il brand, la rete di fornitori e rete vendita e, infine, l’amministrazione.