05/10/2016

La sottile arte di vendere in Cina: servono viaggio propedeutico, distributori locali e tanta pazienza...

Un convegno in Associazione dedicato alle chiavi di lettura per capire usi, abitudini e consumi del “paese del Dragone” e avere migliori chance di mercato.

Non ditelo agli svizzeri, ma l'Italia in Cina è vista come il paese della cioccolata. Per via dei Ferrero Rocher. Al che, uno può chiedersi come mai allora non prenda piede la Nutella, brand italiano universale. Risposta: perché in Cina non esiste il pane e quindi non c'è il “supporto” su cui spalmare la mitica crema di nocciola. E come mai in Cina non c'è verso di vendere carrozzine per bebè? Perché per tradizione i neonati non escono di casa per i primi 50 giorni, e quando lo fanno hanno ormai due mesi e passano direttamente al seggiolino. E perché non si vendono i wafer? Perché i cinesi, come buona parte degli asiatici, hanno un palato che rifugge il dolce, si limitano ad assaggi per motivi più di etichetta che altro, quindi un classico pacco di wafer o di biscotti occidentale è invendibile perché durerebbe settimane e diventerebbe immangiabile.

C'è una spiegazione per tutto, nel paese del Dragone. Anche per le cose più strane. Per una nostra imprese che voglia entrare in quel mercato, perciò, diventa essenziale conoscere prima come funziona il paese, come vive la gente, come usa (o non usa) i prodotti. Perfino la biancheria in Cina viene stesa in modo diverso da quello europeo. Mai dare per scontato uno stile di vita che a noi europei sembra assodato.

Di questo, della “sottile arte di vendere in Cina” si è parlato a palazzo Bonin Longare in un convegno che ha approfondito le le chiavi di lettura per conquistarne la fiducia e il credito commerciale in Cina.

Sono intervenuti Remo Pedon, vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega ai Mercati Esteri, Tiziano Vescovi professore ordinario di management e marketing a Ca’ Foscari e studioso di Cina, Carlo Geremia avvocato dello studio NCTM Shanghai e Maria Yvonne Pugliese dell'Associazione Culturale YARC. Testimonianze aziendali sono state portate da Francesco Pasquetti consulente che collabora con gruppi cinesi nell’ambito della moda, e da Mattia Pedon imprenditore che ha studiato in Cina e vi lavora da molti anni.

“La Cina continua a pesare poco sul nostro export, l’Italia è soltanto il quindicesimo fornitore della Cina, quarto tra i partner europei – ha osservato Remo Pedon -. Il Made in Italy ha dunque molto spazio per crescere. Per farlo dobbiamo però superare le distanze, geografiche e soprattutto culturali, che ci separano. Abbiamo la fortuna di essere ricordati dai cinesi come la terra di Marco Polo ma noi per primi dobbiamo forse riscoprire le lezioni di quella storia di esplorazioni e di relazioni commerciali”.

Al fondo di tutto, la consapevolezza che per le imprese italiane la Cina continua a rappresentare uno dei mercati più interessanti, da affrontare studiando bene il mercato, le sue abitudini e preferenze e i punti di forza e debolezza dei partner commerciali. Per fare questo, secondo il prof. Vescovi è utile programmare innanzitutto un viaggio propedeutico dedicato non agli affari in senso stretto, ma a tutto quello che va compreso e capito prima: vivere la città in cui si arriva, frequentare locali e negozi, piazze e parchi, visitare musei, informarsi... E poi dotarsi di pazienza, perché per chiudere un ordine servono anche due anni.

Non si arriva in Cina con la logica del “mordi e fuggi”, insomma, e non si va da nessuna parte senza distributori locali. Nessun paese come questo, per essere affrontato in modo efficace, ha bisogno del giusto tempo, dei giusti strumenti e della giusta voglia di capire.

Area Mercati Esteri Confindustria Vicenza
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