26/06/2017

Decreto Legge sulle Banche Venete: la posizione di Confindustria

L'approfondimento con l'analisi e i numeri.

Il Governo italiano ha approvato, il 25 giugno 2017, un decreto legge recante “Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.a. e di Veneto Banca S.p.a.”. Il provvedimento è volto a salvaguardare correntisti e obbligazionisti senior, nonché ad assicurare, a seguito della liquidazione ordinata, continuità all’operatività bancaria degli istituti liquidati, a tutela dei lavoratori e dell’economia del territorio.

Il decreto è stato adottato previa intesa con le autorità comunitarie e dopo che l'autorità di vigilanza della Banca Centrale Europea ha dichiarato, il 23 giugno 2017, che entrambi gli istituti sono in una condizione definita “failing or likely to fail”.

Quest’ultima espressione è usata dai supervisori europei con riferimento a enti creditizi che si trovano nella condizione di essere sottoposti a un intervento di risoluzione da parte del Single Resolution Board (SRB) - l’autorità europea responsabile delle decisioni di risoluzione bancaria - ovvero di essere liquidati secondo le regole ordinarie dei diversi ordinamenti nazionali e con l’intervento delle autorità nazionali di risoluzione (in Italia, la Banca d’Italia).

La decisione della BCE è motivata dal fatto che il patrimonio di entrambi gli istituti è ripetutamente sceso sotto i limiti regolamentari. La BCE ha ricordato che gli istituti sono stati monitorati sin dagli esiti del “comprehensive assessment” del 2014, che aveva messo in evidenza carenze di capitale; che da allora si è tentato di superare il deterioramento della situazione finanziaria degli stessi, anche con l’intervento di Atlante che ha investito 3,5 miliardi nel capitale dei due istituti; che a dispetto di ciò la posizione delle banche si è ulteriormente deteriorata nel 2017. Infine, la BCE ha sottolineato che alle popolari venete è stato dato il tempo di presentare dei piani di ricapitalizzazione, ma che tali piani non sono stati ritenuti credibili.

A seguito delle decisioni della BCE, la stessa ha informato l’SRB, che si è attivato e che, concordando con l’analisi della BCE, ha concluso che non esistevano misure alternative (anche che coinvolgessero privati) in grado di impedire il fallimento delle due banche.

Al riguardo, si ricorda che nei giorni scorsi era emerso che non sussistevano le condizioni per ricorrere alla ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato, secondo lo schema previsto dal DL Salva Risparmio di dicembre 2016; in particolare, nel corso del confronto con BCE e Commissione Europea, le autorità europee, vista la situazione delle due banche, avevano condizionato l’operazione di ricapitalizzazione pubblica all’apporto aggiuntivo di capitali privati ma non era stato possibile trovare soggetti disposti a partecipare a tale operazione.

Di conseguenza l’SRB ha deciso (anch’esso il 23 giugno 2017) che non sussistono le condizioni per un intervento di risoluzione – che ai sensi di quanto previsto dalla direttiva UE sul risanamento e risoluzione delle crisi bancarie (BRRD) è necessario qualora un intervento di liquidazione non consenta di salvaguardare la stabilità sistemica – ma che le due banche siano liquidate secondo le procedure concorsuali previste dall’ordinamento italiano.

L’intervento di risoluzione – che avrebbe comportato anche la possibilità di utilizzare lo strumento del bail-in – non si è reso necessario nel pubblico interesse perché è stato ritenuto che il fallimento delle due banche, considerato il loro ruolo, non avrà impatti sulla stabilità finanziaria del sistema. Si ricorda che lo strumento del bail-in consente all’autorità di risoluzione di disporre, al fine di assorbire le perdite, la riduzione/azzeramento del valore delle azioni e, successivamente, secondo un preciso ordine di priorità, di alcuni titoli di credito – fino ad arrivare, potenzialmente, ai depositi sopra 100.000 euro – ovvero la loro conversione in azioni.

Si è dunque scelta la strada della liquidazione coatta amministrativa, uno strumento dell’ordinamento italiano attivabile, come detto, qualora non ci siano le condizioni per l’intervento di risoluzione e nel caso in cui si valuti impossibile ripristinare la redditività a lungo termine degli istituti.

La liquidazione, qualora comprenda come in questo caso un intervento dello Stato, va comunque realizzata nel rispetto di quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione sugli aiuti alle banche dell’agosto 2013 (Comunicazione 2013/C-216/01). Quest’ultima prevede, per gli aiuti alla liquidazione, l’applicazione del principio del “burden sharing” che prevede la possibilità di un intervento pubblico solo dopo che per compensare le perdite siano stati impiegati appieno il capitale e i debiti subordinati.

In altri termini, il fatto che si sia scelto di non realizzare un intervento di risoluzione, ha escluso l’utilizzo dello strumento del bail-in. Ma si è comunque applicato il principio del burden sharing, che ha comportato l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate.
In merito a queste ultime, è previsto comunque, come più avanti si dirà, un intervento a tutela dei risparmiatori.


Nello scenario sopra descritto, dato che l’applicazione della procedura ordinaria di liquidazione avrebbe prodotto conseguenze negative per il tessuto produttivo e sociale, per l’occupazione e per i risparmiatori, il Governo italiano ha ritenuto necessario adottare misure pubbliche a sostegno di una gestione ordinata della crisi delle due banche, nel contesto di una speciale procedura d’insolvenza.

In proposito, va sottolineato infatti che, in assenza di un intervento ad hoc, si sarebbero verificati una serie di effetti negativi per imprese, famiglie e lavoratori, tra cui la necessità di attivare il Fondo Interbancario di tutela dei depositi, con la conseguenza che tutte le banche che contribuiscono al Fondo avrebbero dovuto svalutare in bilancio la propria quota del Fondo stesso, con effetti negativi sui loro requisiti patrimoniali.

Il Governo ha quindi emanato un decreto legge recante “Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.a. e di Veneto Banca S.p.a. e per garantire la continuità del sostegno del credito alle famiglie e alle imprese del territorio”.

Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 giugno, fa ampio ricorso a deroghe a istituti vigenti e contiene disposizioni speciali applicabili al solo caso delle popolari venete. In dettaglio consente al Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia, di:

1. sottoporre le due banche a liquidazione coatta amministrativa, disponendo la continuazione dell’esercizio dell’impresa;

2. prevedere la cessione dell’azienda bancaria o di rami di essa ad un acquirente. È previsto che, su indicazione del Ministro, i commissari liquidatori nominati dalla Banca d’Italia cedano l’azienda bancaria a un soggetto selezionato, anche prima dell’entrata in vigore del decreto, sulla base di una procedura concorrenziale tesa a selezionare l’offerta di acquisto più conveniente. Sono previste però norme speciali per assicurare l’immediata efficacia della cessione nei confronti dei terzi, anche in considerazione della necessità di assicurare la continuità dell’esercizio dell’impresa per evitare lo scioglimento dei contratti conseguente all’avvio della procedura concorsuale.
Tale soggetto, come ribadito anche da Padoan in occasione della conferenza stampa che ha seguito l’approvazione del decreto, è stato già individuato in Intesa Sanpaolo;

3. prevedere misure di sostegno pubblico a supporto della cessione.


Nella serata del 25 giugno, il MEF, su proposta della Banca d’Italia, ha emanato il provvedimento di cui al precedente punto 1, che sottopone le due banche a liquidazione coatta amministrativa. Conseguentemente, Banca d’Italia ha nominato gli organi liquidatori. Per la Popolare di Vincenza i commissari sono: Claudio Ferrario, Giustino Di Cecco e Fabrizio Viola; per Veneto Banca sono invece: Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Fabrizio Viola.

I commissari hanno già provveduto alla cessione a Intesa, la quale è subentrata nei rapporti delle cedenti con la clientela senza soluzione di continuità. In particolare, i clienti delle due banche non subiscono conseguenze: gli uffici e gli sportelli saranno regolarmente aperti e funzionanti e tutte le operazioni bancarie potranno essere effettuate sotto la responsabilità di Intesa.

Inoltre, il decreto:

 abilita il MEF, al fine di massimizzare il valore dei crediti deteriorati, a cedere questi ultimi alla “Società per la Gestione di Attività S.p.A.”, il cui capitale è interamente posseduto dallo stesso MEF (viene dunque creata una sorta di “bad bank”). Il corrispettivo della cessione è rappresentato da un credito verso le banche in liquidazione e i proventi della gestione del portafoglio trasferito saranno destinati interamente alle stesse banche e saranno, dunque, disponibili per i creditori di quest’ultime;

 prevede un meccanismo di ristoro per i risparmiatori (investitori al dettaglio, escluse società) che siano creditori subordinati delle banche liquidate. In particolare, i risparmiatori potranno accedere al Fondo di solidarietà istituto per i creditori delle quattro banche risolte a novembre 2016. Come in quel caso, le prestazioni sono a carico del “Fondo interbancario di tutela dei depositanti”. Si tratta, dunque, di un rimborso fino all’80% delle somme investite; in proposito, il Ministro Padoan ha anticipato in Conferenza stampa che potrebbe esservi la disponibilità di Intesa a integrare il rimborso;

 contiene alcune disposizioni volte a rendere fiscalmente neutre le operazioni di cessione e gli interventi pubblici che le possono accompagnare e a consentire il trasferimento a Intesa dei crediti per le imposte differite delle banche in liquidazione a Intesa Sanpaolo.


In merito al coinvolgimento di Intesa, si ricorda che con comunicato del 21 giugno scorso, l’Istituto aveva già annunciato ufficialmente al mercato la sua intenzione di acquistare “certe attività e passività” a un corrispettivo simbolico purché fosse assicurato, oltre che il placet incondizionato di ogni Autorità competente, anche il rispetto di una serie di condizioni specifiche. In particolare, Intesa ha chiarito dall’inizio che la sua disponibilità all’operazione:

- esclude aumenti di capitale ed al fatto che la stessa non incida sui coefficienti patrimoniali del Gruppo né sulle sue policy di distribuzione di dividendi;

- riguarda l'acquisizione di un perimetro segregato che esclude, non solo i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute) ma anche i crediti in bonis ad alto rischio e le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all'acquisizione;

- è condizionata alla creazione di una cornice legislativa, approvata in via definitiva, che assicuri, non solo le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi della totale neutralità dell’operazione rispetto agli attuali coefficienti patrimoniali e alla policy sui dividendi, ma anche la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione e alla sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite.


Per sostenere la realizzazione dell’operazione - tesa a mitigare l’effetto della liquidazione sul territorio grazie alla continuità dell’accesso al credito da parte delle famiglie e delle imprese e alla gestione dei processi di ristrutturazione delle banche in liquidazione - il Ministro dell’economia è autorizzato a effettuare interventi pubblici:

1. erogazione di un supporto finanziario per ricostituire i fondi propri del cessionario per un ammontare idoneo a fronteggiare l’assorbimento patrimoniale derivante dalle attività ponderate per il rischio acquisito;

2. concessione della garanzia dello Stato a copertura dello sbilancio di cessione;

3. concessione della garanzia dello Stato sull’adempimento di obblighi assunti dalle due banche in relazione a impegni, dichiarazioni e garanzie da esse assunti;

4. erogazione al cessionario di fondi a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale.

Si segnala, inoltre, che per consentire l’operazione di cessione è prevista una deroga ex lege alla disciplina antitrust motivata da “rilevanti interessi generali dell’economia nazionale”; interessi che dovrebbero giustificare, nelle intenzioni del Governo, la mancata autorizzazione dell’operazione da parte dell’Autorità antitrust nazionale.



L’esborso effettivo immediato da parte dello Stato a copertura delle misure del decreto ammonterà a circa 5,2 miliardi. Di questi:

- 4,785 servono a garantire la neutralità dell’operazione sui capital ratios di Intesa, come chiesto espressamente dalla banca; in dettaglio, fino a 3,5 miliardi a fronte del fabbisogno di capitale generato dall'operazione di cessione e fino a 1,285 miliardi a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale (nell’ambito di questo importo, secondo quanto precisato da Padoan in conferenza stampa, dovrebbe esserci di fatto una quota che sarà utilizzata da Intesa per gestire gli esuberi derivanti dall’operazione);

- 400 milioni sono a copertura delle potenziali perdite derivanti dalle garanzie prestate dallo Stato sugli impegni delle banche in liquidazione, per un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro (in merito a tali garanzie il Ministro Padoan in conferenza stampa ha chiarito che si tratta di garanzie fino a 6,3 miliardi per la retrocessione di crediti che non risultino in bonis e oltre 4 miliardi per crediti in bonis ma ad alto rischio).

L’operazione è diversa da quella realizzata di recente in Spagna e che ha portato all’acquisto, al corrispettivo di 1 euro, del Banco Popular da parte di Santander. Nel caso spagnolo, infatti, è stato realizzato un intervento di risoluzione (con l’azzeramento delle azioni e di alcuni titoli obbligazionari junior) che comporterà comunque un intervento di ricapitalizzazione, da parte di Santander, per 7 miliardi di euro. Simili considerazioni valgono per l’acquisto da parte di UBI delle nuove Banca Etruria, Banca Marche e CR Chieti.

Le risorse per finanziare l’intervento vengono attinte dal DL Salva risparmio dello scorso dicembre. Tali risorse sono incrementate di 300 milioni di euro per l’anno 2018 (si tratta di fondi dedicati a compensare gli eventuali effetti finanziari derivanti dall’esito della due diligence sulle attività cedute che, ai sensi del decreto, sarà effettuata da un collegio di esperti indipendenti).

In sostanza, vista l’impossibilità di realizzare un intervento di ricapitalizzazione precauzionale delle popolari venete, le risorse originariamente previste per quell’intervento vengono utilizzate per finanziare l’operazione sopra descritta. Non si modificano, nella sostanza, i saldi di finanza pubblica.