20/02/2019

Clausole di salvaguardia alla deriva, la nota del Centro Studi Confindustria

Il crescente ricorso alle clausole e la loro sterilizzazione in larga parte a deficit ne hanno vanificato le potenzialità.

di Alessandro Fontana, Andrea Montanino e Lorena Scaperrotta*




Le clausole di salvaguardia, introdotte inizialmente con il Decreto Legge 98/11 dal Governo Berlusconi, prevedono un aumento futuro e automatico di entrate tributarie nel caso in cui non vengano individuate altre misure per rispettare gli obiettivi di bilancio.

Inizialmente sollecitate dalle istituzioni europee allʼItalia per garantire il rientro prospettico del deficit di bilancio, le clausole permisero di rassicurare i mercati finanziari circa la discesa del deficit e del debito pubblico. Rappresentavano un modo per includere da subito nei saldi di bilancio risparmi provenienti da operazioni complesse la cui attuazione puntuale non poteva essere effettuata nell’immediato e il cui impatto sui conti pubblici era incerto.

Le clausole di salvaguardia introdotte per gli anni tra il 2012 e il 2021 avrebbero dovuto garantire un maggior gettito tendenziale pari a 64,8 miliardi di euro, 55,6 miliardi al 2019. Di questi, poco più della metà si è tradotto in un miglioramento del deficit tendenziale (circa 28 miliardi), per effetto dellʼattivazione delle clausole e della loro compensazione con altre maggiori entrate e minori spese. Restano ancora attivabili 28,8 miliardi tra il 2020 e il 2021, stando alla clausola di salvaguardia IVA attualmente in vigore, introdotta dal Governo Renzi e modificata ben sei volte da dicembre 2014, da ultimo con la Legge di Bilancio per il 2019 del Governo Conte.

Il crescente ricorso alle clausole e la loro sterilizzazione in larga parte a deficit ne hanno vanificato le potenzialità, creando incertezza sui conti pubblici italiani, tanto che la Commissione europea dalle previsioni formulate a maggio 2015 ha deciso di non includerne più gli effetti. Per questa ragione, occorre liberarsi quanto prima delle clausole così come sono ora, concordando con la Commissione europea una strategia di uscita che restituisca credibilità agli obiettivi di bilancio programmati. In considerazione degli effetti negativi che potrebbero avere sia lʼattivazione che lʼintero finanziamento a deficit delle clausole ancora in vigore, il Governo dovrebbe proporre alla Commissione europea un piano in cui si impegna a non introdurre nuove clausole e a coprire nel prossimo biennio una quota sufficientemente ampia di quelle ancora attive, finanziando la parte restante in deficit.

Per il futuro, l’utilizzo delle clausole può rappresentare ancora un valido strumento per avviare, nell’ambito della programmazione pluriennale di bilancio, interventi di revisione di spese e/o entrate pubbliche che per loro natura richiedono tempo; ma è cruciale che il ricorso alle clausole sia limitato ai soli casi in cui queste siano associate a tali processi.

Scarica il documento completo della nota del Centro Studi Confindustria.

*Per commenti scrivere a: a.fontana@confindustria.it, a.montanino@confindustria.it, l.scaperrotta@confindustria.it.