"Un grido d'allarme delle tre maggiori confindustrie europee, italiana, tedesca e francese, alla nuova Commissione: una specie di richiesta di intervento d'urgenza.
Come? Perché?
Vediamo allora: la scorsa settimana, giovedì e venerdì, due mezze giornate di lavoro a Parigi tra i vertici della Confindustria tedesca (BDI), quella francese (Medef) e quella italiana. In queste due mezze giornate c'è stata una convergenza, toni di preoccupazione e anche richieste molto precise che testimoniano un livello di consapevolezza della vera profonda crisi industriale in cui si dibatte l'Europa.
Molto maggiore questa consapevolezza, questo senso di allarme, questa necessità di cambiare marcia rispetto a quanto non sembri avvenire nella politica.
La settimana scorsa si è chiusa la polemica che divideva i tre gruppi politici per il voto ai Commissari europei.
Dal voto europeo sono passati mesi e mesi, tempi lunghissimi rispetto a quelli dei mercati, che ormai vanno sempre peggio di mese in mese e richiedono tempi rapidi e misure urgenti.
Nel documento che è stato approvato, in cui si avanzano quattro proposte specifiche, si riflettono le discussioni delle due mezze giornate in cui i vertici industriali europei hanno chiamato il premier francese Barnier, il ministro dell'Economia della Germania, il ministro degli Esteri italiano Tajani e tante altre voci di grandi e medie imprese europee a confrontarsi su alcuni temi fondamentali che, in buona sostanza, sono quelli toccati dal rapporto Draghi: il tragico gap di competitività accumulato a svantaggio dell'industria europea rispetto a quella degli Stati Uniti e della Cina e il fatto che oramai non sia più una questione in prospettiva.
Il declino, così dice testualmente il documento degli industriali europei, dell'industria europea c'è già e quindi bisogna affrontarlo perché altrimenti, ad andare per aria, non saranno solo, come già capita nell'auto e nell'automotive in tutta Europa, gli stabilimenti e i conti delle imprese.
Ci vanno di mezzo centinaia e centinaia di migliaia di occupati che, nell'industria manifatturiera europea, come modello di sviluppo e di coesione sociale dal secondo dopoguerra, hanno fatto la forza delle nostre società.
Ecco alcuni spunti per capirci.
Cosa chiedono, in concreto, con questi toni di allarme, ma anche con le proposte concrete, le confindustrie europee?
Primo: chiedono alla nuova Commissione di sbrigarsi.
In 100 giorni dovete fare capire ai mercati e a noi tutti che siete disposti a cambiare marcia per affrontare questa crisi di competitività e i sovraccosti di prezzo che ci hanno imposto le regole europee.
Non sono un effetto dei mercati, ma l'effetto delle norme adottate in questi ultimi anni a Bruxelles.
Dovete far capire nei primi 100 giorni, i primi tre mesi dell'anno prossimo, a noi e ai mercati, che avete capito che bisogna cambiare marcia.
Quindi c'è un primo blocco di questioni che riguarda ovviamente il Green Deal e, nel Green Deal, le tre maggiori industrie europee chiedono alla Commissione Europea di dire chiaramente che qualunque passo verso l'abbattimento delle emissioni e qualunque traguardo fissato troppo in fretta per l'abbattimento delle emissioni in ogni settore energivoro dell'industria devono fare i conti con un nuovo principio: affrontare la neutralità tecnologica. Non si fanno scelte dall'alto sulle tecnologie, tipo solo elettrico.
Secondo: bisogna fare una riforma immediata degli ETS, i certificati delle emissioni carboniche, che stanno uccidendo i settori dell'industria energivora, e dei CBAM, cioè la tassa ai confini sull'impronta carbonica, che rischia di essere un nuovo boomerang per le industrie europee, non per quelle da cui importiamo fuori Europa.
Bisogna, come già detto, disaccoppiare il prezzo del gas dal prezzo dell'energia perché, altrimenti, per le asimmetrie di costo tra le industrie europee, diventiamo concorrenti gli uni contro gli altri.
All'interno dell'Europa, invece, unificare i mercati dell'industria europea risponde alla sfida americana e cinese.
La seconda priorità è la deregulation.
Troppi atti normativi: dal 2019 al 2023, l'Europa ha adottato più di 13.000 atti normativi rivolti alle industrie.
Gli Stati Uniti, negli stessi quattro anni, hanno introdotto circa 5.000 regolamenti come fonte normativa meno primaria.
Bisogna ogni anno fare un check che cominci da subito per sfoltire tutti questi eccessi di normazione e per rivedere profondamente norme folli, come quelle che vogliono imporre prima alle grandi, poi alle medie e infine alle piccole imprese l'obbligo di fare la cernita dell'impronta carbonica di qualunque componente importino dal resto del mondo.
Con tutte le regole che nessuno nel mondo adotta e che semplicemente fanno esplodere i nostri costi.
Poi bisogna quasi raddoppiare la percentuale di spesa in ricerca e sviluppo per colmare il ritardo dagli Stati Uniti.
E bisogna pensare a riforme del mercato unico del risparmio, perché non è pensabile che la nostra borsa europea complessiva valga un terzo di quella americana.
Gli americani investono in borsa tre volte più di noi.
L'eccesso di risparmio europeo, pari a 300 miliardi, va verso gli investimenti negli Stati Uniti perché lì hanno tasse più basse, meno vincoli amministrativi e non si sono impiccati ai nostri standard energetici, eccetera, eccetera.
Bene, sono richieste precise.
Sono richieste anche molto impegnative.
Quello che colpisce è che l'industria ha una dimensione chiara della crisi. La politica, non lo sappiamo".