30/08/2017

Al giro di boa del 2017, il fatturato industriale vicentino cresce costantemente di oltre il 3%

Intervista al presidente Luciano Vescovi sull'andamento del primo semestre dell'anno e sulle prospettive future dell'economia vicentina.

Presidente Vescovi, le stime preliminari dell’Istat sul PIL 2017 dicono che l'Italia nel secondo trimestre cresce dello 0,4% rispetto al precedente e dell'1,5% rispetto allo stesso periodo del 2016. Vicenza invece come si è comportata nei primi sei mesi di quest'anno?
Guardando gli ultimi dati, seppur ancora in fase di elaborazione, finalmente possiamo vedere il ‘+3%’ come un indice di fatturato industriale che si consolida a più riprese. Ed è un numero che ci piace. Il primo trimestre dell’anno ha visto il fatturato prodotto nel mercato interno e nei paesi UE crescere di oltre il 4% rispetto allo stesso periodo del 2016 e il secondo trimestre regge benissimo, con crescite sui mercati di nazionali e internazionali che vanno dal +2,9% al +3,8%. E poi c’è la produzione industriale che continua ad incrementare rispetto anche al 2016, anno in cui già il segno ‘più’ era stato raggiunto.

Tanti dati ed indici positivi, ma possiamo pensare che questa crescita possa essere confermata anche per i prossimi trimestri?
Non ho la sfera di cristallo, ma i dati che elencavo poc'anzi non ci permettono di essere pessimisti. Nonostante ciò, la nostra ultima rilevazione segnala che quasi 2 imprenditori su 3 esprimono un sentimento di incertezza nei confronti dello stato di salute economica del Paese. Viviamo tempi in cui i fattori che possono influenzare l’economia sono tantissimi e molto variegati perché l’orizzonte su cui competono le nostre aziende è internazionale. Per questo Confindustria Vicenza sta ultimando un ambizioso progetto per avere una 'linea diretta' con l'Europa, con un nostro funzionario che sia fisicamente a Bruxelles al servizio esclusivo delle nostre aziende associate.

Un fattore di incertezza è anche quello legato al mondo bancario, specialmente a seguito della complessa vicenda delle banche venete.
C’è bisogno di una nuova normalità nelle relazioni tra banca e impresa. Il mondo cambia, l’economia è cambiata, lo deve fare – e in parte lo sta facendo – anche il mondo del credito e della finanza. L’impatto della soluzione Intesa Sanpaolo deve ancora essere misurato sul campo, in particolare per quanto riguarda i fidi che le aziende avevano con la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. In questo senso ci stiamo muovendo affinché non si chiudano i rubinetti del credito proprio adesso.

Oltre al credito, quali sono gli altri fattori che potrebbero ostacolare la crescita?
Mi spiace dirlo, perché sono un grande tifoso dell’Italia, però il Sistema Paese è più spesso una zavorra che una risorsa. E dopo l'infinito tira e molla sulla legge elettorale, che non ha prodotto nulla di nulla, ho il timore che con le elezioni politiche del prossimo anno si possa configurare un Parlamento senza una maggioranza stabile. Una situazione di ingovernabilità e il blocco delle istituzioni e delle riforme rischierebbero di essere un elemento di forte ostacolo allo slancio delle nostre imprese verso i mercati mondiali.

Quali sono invece le misure di cui le aziende hanno bisogno per sfruttare il momento positivo?
Confindustria sta facendo una battaglia forte su tre punti. In primis sul rinnovo degli incentivi intelligenti, ovvero quelli che stimolano la competitività delle imprese con strumenti circostanziati ma aperti a tutti i settori. Mi riferisco a superammortamento, iperammortamento, credito d’imposta in ricerca e la Nuova Sabatini. In secondo luogo, ma in parallelo con il primo punto, la necessità di detassare in maniera strutturale i premi di produttività per permettere ai lavoratori di avere una busta paga più ricca a fronte di un aumento della produttività. Mi sembra la forma più sana di incentivare una buona pratica. Infine è assolutamente urgente attuare una netta riduzione del cuneo fiscale per i primi tre anni in caso di assunzione di giovani a tempo indeterminato. Questo significherebbe assestare uno scossone vero ad alcuni dei problemi atavici sia del Paese che delle imprese: la disoccupazione giovanile, il mancato ricambio generazionale, il lento ricambio delle competenze.

Tutti questi stimoli economici possono essere sostenibili vista la gravità del nostro debito?
È proprio su questo campo che deve essere misurata la classe politica. Il debito è il nostro primo e vero problema anche se, oltre alle polemiche di terza categoria con i vari commissari della spending review di turno, è un tema eluso dal dibattito pubblico semplicemente perché non porta voti. Ma, aggiungo, non potrà mai esserci una gestione sana del debito senza una crescita strutturale. Per questo è assolutamente necessario permettere alle aziende di lavorare, liberandole dai cavilli burocratici che le imbrigliano ancor più di quanto possa fare un regime fiscale sfavorevole o un costo dell'energia di gran lunga più alto rispetto ai competitor europei. Questo Paese, a partire dalle istituzioni, ha bisogno di abbandonare quel sentimento anti-impresa che lo permea da decenni. Senza impresa non c'è lavoro e non c'è reddito, c'è spazio solo per la speculazione finanziaria.