04/07/2023

Divario di genere, occupazione e genitorialità: Italia ancora indietro rispetto all'Europa

Lo studio di Intesa Sanpaolo: le misure di welfare aziendale possono ridurre le differenze, agevolare la genitorialità e aumentare la produttività.

Negli ultimi 30 anni si è ridotto in Italia Il divario nel tasso di occupazione femminile rispetto a quello maschile, ma la distanza rimane ancora elevata rispetto alla media europea e ai principali paesi competitor (Germania, Francia e Spagna).

Nel 2022 il tasso di occupazione delle donne in età 25-49 anni in Italia era pari al 62%, all’ultimo posto nella classifica tra i paesi europei, con circa 20 punti percentuali in meno da quello dei coetanei maschi, contro un differenziale medio europeo di circa la metà.

La condizione genitoriale influenza fortemente Il livello dei tassi di occupazione femminile sia in Italia che in Europa: le donne europee senza figli hanno un tasso di occupazione di soli 2,7 p.p. inferiore a quello degli uomini ma la distanza si amplia alla nascita del primo e del secondo figlio (-14,7% e -17,3%) per poi salire a 28,6 p.p. con 3 figli e più.

In Italia la forbice è molto più ampia e così la distanza che separa il nostro paese da quelli più virtuosi, non solo dell’Europa del Nord (Paesi Bassi, Svezia, Norvegia e Danimarca) ma anche da economie come la Slovenia e il Portogallo dove non solo l’occupazione delle donne supera l’80% ma il livello aumenta con la nascita del primo e del secondo figlio.

Questa recente tendenza trova spiegazione nella maggiore possibilità delle donne di conciliare il lavoro con la maternità e la cura dei familiari; di conseguenza una maggiore fecondità non necessariamente deve essere considerata alternativa ad una elevata occupazione femminile.

Secondo stime di Banca d’Italia la diminuzione della popolazione in età attiva al 2040 (pari a oltre 6 milioni di persone in meno) porterebbe ad una riduzione della forza lavoro del 9%, ma il calo potrebbe essere dimezzato se il tasso di partecipazione femminile al lavoro nei prossimi 10 anni convergesse in tutte le classi di età sui livelli medi europei.

Il Veneto si colloca sopra la media italiana in termini di posti negli asili nido (31% vs 27% Italia) e di tasso di attività femminile nella fascia 20-64 anni (67,7 vs 59% Italia), ma risulta in realtà lontano da regioni come l’Emilia Romagna dove i posti nei nidi superano il 40% e il tasso di attività femminile si avvicina alla media europea (72,2 vs 73%).

Accanto all’introduzione di norme e misure dello Stato per rafforzare l’offerta di asili nido, il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli e il sostegno della domanda di lavoro delle donne, molto possono fare anche i datori di lavoro.

Proprio a questo tema è stata dedicata l'assemblea annuale del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Vicenza: "Generazioni Future", che si è tenuta il 12 giugno 2023 al Teatro Olimpico di Vicenza. L'evento è stato organizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo, la cui Direzione Studi e Ricerche ha sviluppato un’analisi intitolata: "Le azioni di welfare e di conciliazione della vita privata e professionale per agevolare la genitorialità".

Lo studio, curato da Anna Maria Moressa, è stato elaborato su un campione di circa 1.600 imprese che tra il 2019 e il 2022 hanno partecipato al progetto “Women value company” (in collaborazione con la Fondazione Belisario) che premia le aziende che si sono distinte per azioni nel campo anche dell’inclusione e della parità di genere.

Si tratta, pertanto, di aziende particolarmente virtuose in tema di welfare aziendale. In questo campione di imprese le imprenditrici sono più presenti (47%) nelle aziende più giovani (nate dopo il 2010) e nelle aziende più piccole, dove maggiori sono anche i ruoli di responsabilità ricoperti da donne.

Le aziende venete nel campione (126) sono per il 44% a guida femminile, leggermente al di sopra della media italiana (43%). L’adozione di misure per agevolare la conciliazione tra vita professionale e vita privata si rafforzano al crescere della dimensione dell’azienda, fino a raggiungere il massimo nelle imprese di dimensioni medie e grandi (con più di 50 addetti).

Nel Veneto il 60% delle imprese ha dichiarato di aver adottato misure di conciliazione tra vita professionale e privata dei dipendenti, più della media italiana che è pari al 50%. Risultano maggiormente adottate le azioni che aiutano la flessibilità del lavoro a partire dallo smart working (48%); seguono a distanza le agevolazioni per gli spostamenti casa/lavoro (18%) e l’estensione dei permessi previsti per legge per la cura dei familiari e dei figli (17%).

Risultano meno frequenti le misure per il reinserimento delle madri dopo la maternità (13%) e le percentuali sono ancora molto basse nell’offerta di nidi aziendali anche nelle imprese più grandi (8%). Accanto alle misure di conciliazione ci sono misure aggiuntive adottate dalle imprese per il welfare dei propri dipendenti dove si nota una accentuata correlazione positiva con la dimensione aziendale e dove non si osservano particolari differenze tra le imprese a guida maschile o femminile. Nove grandi imprese su dieci venete adottano misure di welfare soprattutto nel riconoscimento di premi aziendali (33%) e di soluzioni di assistenza sanitaria (30%) e di flexible benefit (20%).

Per capire l’impatto delle azioni di benessere lavorativo intraprese dalle aziende osservate, si sono analizzati i loro bilanci tra il 2019 e il 2021 e, in particolare, ci si è concentrati sugli indicatori di produttività e di redditività. Il risultato dell’analisi mette in evidenza che le politiche di welfare hanno dei ritorni evidenti: le imprese attive su questo fronte che hanno adottato misure di welfare hanno raggiunto livelli di produttività per addetto nel 2021 pari a 68.400 euro, con una differenza dalle altre imprese che è salita a circa 10.000 euro, dai 7.900 euro del 2019.

Nelle imprese venete il divario di produttività è stato addirittura più elevato e pari a 11.600 euro. Ciò si è tradotto anche in una migliore marginalità: è stato pari all’11,4% il valore mediano dell’EBITDA margin delle aziende con welfare contro l’8,4% di quelle senza welfare. Far star bene i propri dipendenti riduce l’assenteismo e aumenta il legame e la fidelizzazione con l’impresa, alleviando il problema della mancanza del personale, con ritorni significativi anche in termini di produttività.

I livelli di occupazione femminile nel Veneto sono superiori di quasi 10 punti rispetto la media nazionale, ma sono inferiori rispetto a quelli di regioni come l’Emilia Romagna che ha investito ad esempio negli asili nido, con un’incidenza del 40% verso il 31% del Veneto. Per le imprese vicentine il tema del capitale umano è oggi uno dei fattori più critici e l’attenzione negli ultimi anni verso il welfare aziendale sta aumentando sempre di più per migliorare le condizioni di benessere aziendale e rendere le imprese più attrattive. Sono molte le aziende che investono in misure di conciliazione vita-lavoro, ma sono poche quelle che investono specificatamente in misure per facilitare il reinserimento delle donne dopo la maternità, che rappresenta la fase della vita che più limita l’inserimento e il mantenimento della forza di lavoro femminile in azienda.
Le aziende che investono di più in politiche di welfare hanno dei benefici evidenti in termini di attrazione e fidelizzazione delle persone ma anche in termini di produttività, per questo come banca supportiamo i percorsi di sviluppo che vanno in questa direzione con strumenti e programmi dedicati, come le polizze collettive per la salute dei dipendenti, finanziamenti premianti in termini di tasso al raggiungimento di obiettivi ESG, tra cui iniziative a favore della parità di genere, e un plafond di 500 milioni di euro dedicato alle imprenditrici e alle neo mamme lavoratrici”
sottolinea Cristina Balbo, direttrice regionale Veneto Ovest e Trentino Alto Adige Intesa Sanpaolo.