18/01/2022

I rincari delle commodity, in particolare gas e energia, rischiano di bloccare le imprese

La nota del Centro Studi Confindustria.

L’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, iniziato dagli ultimi mesi del 2020, è ampio e diffuso. Per il petrolio si tratta di un recupero più che pieno, dopo il crollo dovuto alla prima ondata di pandemia (+13% a dicembre 2021 su fine 2019). Per il rame, invece, di un enorme rincaro (+57%), così come per il cotone (+58%). A questi rincari si è sommato lo scorso anno il balzo del costo dei trasporti marittimi, anche questo piuttosto persistente. Di recente, negli ultimi mesi del 2021, si è aggiunta l’impennata del gas naturale in Europa, che oggi è la commodity che mostra di gran lunga il maggior rincaro (+723%).

L’impennata della quotazione del gas si è rapidamente trasferita sul prezzo dell’energia elettrica in Italia, facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali: 37 miliardi previsti per il 2022, da 8 nel 2019. Un livello insostenibile per le imprese italiane, che minaccia chiusure di molte aziende in assenza di interventi efficaci. Il prezzo dell’elettricità è più alto che in Francia e altri paesi europei, a seguito delle policy che questi hanno messo in campo. Questi rincari significano anche un marcato aumento della bolletta energetica, pagata dall’Italia ai paesi esportatori.

Sono possibili nell’immediato una serie di azioni, sia congiunturali che strutturali: intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas naturale, aumentando il livello di esenzione per i settori della manifattura, in particolare i comparti energivori a rischio delocalizzazione; aumentare la produzione nazionale di gas naturale e riequilibrare, sul piano geopolitico, la struttura di approvvigionamento del Paese; promuovere una riforma del mercato elettrico, al fine di disaccoppiare la valorizzazione della crescente produzione di energia rinnovabile dal costo di produzione termoelettrica a gas.

Il forte aumento dei costi per le imprese si è tradotto in una brusca compressione dei margini operativi, data la difficoltà di trasferire ai clienti i rincari delle commodity. La sofferenza dei margini è tendenzialmente maggiore nei settori più a valle, quelli che producono beni di consumo (per esempio, abbigliamento e mezzi di trasporto), che sono più vicini alla domanda finale ancora compressa; ma anche nei settori energivori (cemento e ceramica, metallurgia, legno e carta). L’assorbimento dei rincari nei margini delle imprese, fino al loro annullamento, spiega anche perché l’inflazione in Italia rimane più bassa che altrove.

L’inflazione sta crescendo ovunque, anche in Italia (+3,9% annuo) dove però è spinta solo dai prezzi dell’energia, restando più bassa di quella dell’Eurozona e degli USA. La misura core, al netto di energia e alimentari, in Italia è molto moderata (+1,4% annuo), mentre nell’Eurozona e soprattutto negli USA è balzata ben oltre la soglia del 2,0% vigilata dalle banche centrali. Lo scenario più probabile resta che la fiammata dell’inflazione in Italia e in Europa sia temporanea, grazie all’attesa flessione delle quotazioni petrolifere, e si registri un rientro nel 2022. Ciò eviterebbe un rialzo dei tassi europei quest’anno, a differenza di quanto accadrà negli USA.

 

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