17/03/2015

E' vicentino il progetto che ha ampliato il grande Orto Botanico di Padova

Intervista all’architetto vicentino Giorgio Strappazzon, che con il collega Fabrizio Volpato si è aggiudicato il concorso internazionale bandito dall’Università di Padova.

Capita raramente, ma capita, che anche gli architetti vicentini vincano un concorso. La vittoria diviene indubbiamente una tappa della carriera professionale, che può trasformarsi in un trampolino di lancio per un progettista e lo studio che ha alle spalle. L'architetto vicentino Giorgio Strappazzon, nato a Bassano nel 1961 e laureato allo IUAV, lo ha provato in prima persona. E qui ci racconta la sua esperienza, vissuta parallelamente al compagno di studio e di avventura, l'architetto Fabrizio Volpato.
I titolari dello Studio VS Associati di Marostica si sono aggiudicati il concorso internazionale bandito dall’Università di Padova per il progetto di ampliamento del complesso botanico più antico del mondo, con l’obiettivo di creare un atlante della biodiversità. Si tratta di un vero e proprio giardino delle “zone climatiche”, sfida progettuale che ha affrontato la relazione tra pianta e ambiente.
Inaugurato il 15 settembre scorso, questo lavoro degli architetti Strappazzon e Volpato, realizzato su una superficie di 14.810 mq, ha incantato giornalisti e autorità. La mega-serra proietta lo sguardo sulla natura del pianeta e la veste delle tecnologie più innovative per proteggerla e preservarla in un microclima ideale.
Il Sole 24 Ore ha collocato il Nuovo Orto tra le dieci migliori opere di architettura italiana costruite nel 2013, mentre la Giuria del Premio Provinciale di Architettura “Barbara Cappochin” gli ha attribuito la Menzione d’Onore in quanto “L’ampliamento dell’Orto Botanico di Padova ha affrontato con esito felice il difficile tema di intervenire in un luogo denso di storia, simbolo mondiale dell’indagine scientifica dell’uomo sulla natura. Lo ha fatto senza violenza, integrando al sedime storico una architettura attenta e funzionale.”

Quali sono innanzitutto, architetto Strappazzon, le difficoltà rappresentate dalla partecipazione ai concorsi internazionali?
“Partecipare a concorsi a qualsiasi livello significa dare disposta a esigenze di trasformazione di luoghi che molto spesso sono composti da un insieme eterogeneo di aspetti, storici, ambientali, funzionali, sociali, economici. Tutti aspetti che non possono essere di conoscenza specifica dell’architetto e la cui individuazione implica l’apporto di diverse professionalità rispetto alle quali si deve svolgere un lavoro di team e di coordinamento. Il progetto diventa quindi un processo di ideazione e di gestione dei saperi diversi a volte molto specialistici”.

Ci descrive il Giardino della Biodiversità?
“Il bando di concorso, che verteva sul restauro e l’ampliamento dell’Orto Botanico, era corredato da una ricca documentazione storica ed illustrativa e dettava linee guida di carattere funzionale molto articolate nei diversi aspetti delle esigenze botaniche.
La risposta che abbiamo ritenuto fosse idonea era data dalla necessità di rappresentare la biodiversità delle specie vegetali che rappresentano il 99,7% di tutte le forme di vita presenti sul pianeta e che sono la base della nostra vita come esseri umani. Per evidenziarla il progetto si pone come una grande vetrina che illustra un’ideale sezione del globo, dall’equatore degradando verso i poli. Dalle condizioni più favorevoli per la vita con abbondante umidità e elevate temperature che fanno crescere la foresta pluviale, sino alle condizioni più estreme dove il freddo e la scarsa umidità rendono la vita quasi impossibile.
L’edificio delle serre ha un impatto quasi zero; è stato pensato e progettato come una grande foglia che respira, che produce ossigeno, che si apre e si chiude per regolare la sua temperatura e ridurre il più possibile l’impatto ambientale, non solo in ambito urbanistico e architettonico, ma soprattutto rispetto al consumo di risorse rinnovabili per il suo funzionamento. La forma, l’articolazione degli spazi e il funzionamento della parte impiantistica, all’interno della grande teca di vetro lunga circa 100 metri e alta 18, sono ottimizzati per sfruttare l’apporto dell’energia rinnovabile e gratuita proveniente tutti i giorni dal sole. I 50.000 metri cubi di aria della serra sono gestiti e regolati da un software appositamente messo a punto. Una vasca di acqua della capienza di 450 metri cubi separa antico da nuovo, creando un effetto ‘sorpresa’ sulle vetrate della serra bioclimatica. Il recupero dell’energia solare avviene attraverso pannelli fotovoltaici e l’accumulo del calore nelle parti massime attraverso l’effetto serra”.

Le vostre specifiche competenze hanno orientato il vostro operato verso l’innovazione tecnologica e la sostenibilità, anche nella ristrutturazione di fabbricati esistenti e, in particolare, nel restauro di siti storici e vincolati...
“Nell’attività di progettazione cerchiamo sempre di aggiornare gli interventi con le tecnologie che il mercato mette a disposizione. Ad esempio il restauro delle mura del Castello di Bassano del Grappa sono state oggetto di un intervento per il consolidamento con la tecnica della ristilatura armata effettuata con l’utilizzo delle fibre aramidiche, ovvero quelle che si utilizzano per la realizzazione dei giubbotti antiproiettile perché sono più resistenti dell’acciaio. Un intervento poco invasivo, non visibile dall’esterno e che ha il vantaggio di essere reversibile conformemente ai dettami della Soprintendenza”.

L’imprinting più significativo della vostra attività è l’interpretazione della relazione che esiste tra natura e architettura. Come vede nel futuro del pianeta il rapporto tra questi due ‘poli’?
“Mi pare si stiano avvicinando molto velocemente. È ormai opinione diffusa che l’attuale sistema socio-economico consumi il pianeta a una velocità maggiore della potenzialità che questo ha di autorigenerarsi. Siamo perseguendo una strada senza via di uscita. Si impone un rapido cambiamento di direzione che sia più rispettoso delle esigenze delle altre forme di vita in particolar modo del mondo vegetale dal quale abbiamo moltissime cose da imparare.
Le piante sono i veri abitanti di questo pianeta: sono qui da cinquecento milioni di anni e con la loro capacità di trasformare, attraverso la fotosintesi, la luce e la CO2 in zuccheri ed ossigeno, sono alla base di qualsiasi processo vitale. Sono convinto che sia possibile un nuovo passaggio socio-culturale, che sia un nuovo percorso reso possibile solo attraverso un’alleanza con il mondo vegetale”.