18/02/2025

Dazi e nodo energia: "Non dobbiamo cedere all’idea che il destino sia subire decisioni altrui".

Laura Dalla Vecchia: "Di fronte a queste strategie negoziali aggressive dobbiamo essere più bravi, più rapidi e più liberi dalla burocrazia".

Si dà di seguito pubblicazione della nota della presidente di Confindustria Vicenza Laura Dalla Vecchia.


La cifra distintiva di Trump è l'imprevedibilità, perché non vi è davvero un confine cui si può immaginare egli si possa fermare. Tuttavia, dalle prime settimane del suo secondo mandato, così come dalle dinamiche del primo (basti pensare ai rapporti con il Messico, che non sono cambiati molto, e alla continuità nella spinta al protezionismo nei confronti dei player europei che peraltro non è mancata nemmeno nei 4 anni di Biden), si può delineare una strategia di fondo: alzare la posta per poi chiudere accordi che non portino davvero a una rottura, bensì a un compromesso accettabile (non troppo dannoso) per la controparte e che a lui, Trump, garantisca comunque un ritorno politico o comunque propagandistico.

Fermo restando che sugli scambi di servizi, come quelli digitali (ricordiamo tutti le immagini di Musk, Zuckerberg, Bezos e Pichai schierati all'insediamento), gli USA mantengono un'egemonia indiscussa; se è vero che Trump vuole ridurre con metodi drastici il disavanzo commerciale con i partner forti nel manifatturiero (la sola Vicenza è in positivo sugli USA di oltre 2 miliardi di euro l’anno, l’Italia di quasi 42 miliardi nel 2023),  e riportare investimenti e produzioni negli Stati Uniti, è altrettanto vero che nel breve termine gli USA non sono in grado di avviare una produzione manifatturiera sufficiente a sostituire le forniture italiane, europee, cinesi o canadesi. Gli statunitensi non sono capaci di fare certi prodotti, non hanno le infrastrutture per farli e nemmeno il personale. Tanto meno vista l'intenzione di privarsi di moltissime persone immigrate. Di conseguenza, nell'immediato, i dazi si tradurrebbero in un aumento dei prezzi per i consumatori americani. E neanche a loro piace pagare, domani, di più per un prodotto che oggi è ben fatto e costa meno. Politicamente, considerando che le elezioni di rinnovo di parte del Congresso, oggi a maggioranza repubblicana, non sono così lontane, questa politica potrebbe danneggiare significativamente l'amministrazione Trump.

Temo, uso questo termine perché siamo vulnerabili, che la direzione delle politiche economiche aggressive di Trump si muova su due grandi obiettivi nei confronti dell’Europa: il primo è indebolire l'Unione, per rafforzare la propria egemonia in Occidente. In questo, la fragilità dei singoli Stati gioca a suo favore: la Germania, che vota tra poche settimane, è in difficoltà e deve ripensare il proprio modello economico, la Francia sta vivendo una fase politica instabile con tre primi ministri cambiati in un anno, una manovra fiscale basata su aumenti di tasse e un debito in preoccupante ascesa (noi italiani purtroppo sappiamo cosa vuol dire anche troppo bene). E neanche Regno Unito, al di fuori della UE, riesce a imporsi come leader, anzi, vive una crisi non dissimile da quelle delle altre potenze europee. Insomma, l’Europa è già traballante nei suoi principali attori e debolissima come Unione Europea. Von der Leyen è ben lontana dall’essere un interlocutore forte per gli USA, tanto più dopo un mandato, il suo primo, in cui, sulle scelte industriali ed energetiche, ha commesso gravi errori strategici che ha danneggiato gravemente il lavoro e favorito l’antieuropeismo fuori e dentro l'Unione. Minacciare e sfruttare gli interessi nazionali dei singoli paesi europei per dar seguito alla strategia del divide et impera, per Trump, rischia di essere facile.

L'altro fronte dell'offensiva economica di Trump riguarda il gas. L'invasione russa dell'Ucraina con le successive sanzioni (quelle condivisibili e quelle assurde) e lo stop, dal Capodanno 2025, del transito del gas di Mosca via Kiev hanno portato a un ennesimo insopportabile aumento dei costi dell'energia, sia per le famiglie che per le imprese. Il contributo di fonti alternative, escluse quelle nucleari, è risultato insufficiente sia in termini di quantità che di costo. Trump ne è perfettamente consapevole e sa di trovarsi in una posizione di forza: l'Europa, per necessità, ha già incrementato gli acquisti di gas statunitense e lui punta a vendercene ancora di più. Questo significa che i nostri costi energetici rimarranno elevati, mentre gli USA ne trarranno un doppio beneficio: migliorare la propria bilancia commerciale e rendere le nostre imprese meno competitive nel mercato globale a causa dei costi energetici e dalla dipendenza dal gas d'oltreoceano.

Il disegno è chiaro: le aziende americane avranno un vantaggio competitivo sulle nostre imprese e, in molti casi, potrebbero persino trovare conveniente investire o acquistare eccellenze italiane. È un piano ben congegnato, che ci obbliga a prendere una decisione su come reagire. Il sogno di un'Europa unica, con una forse strategia in difesa della propria economia sembra lontano: la Commissione Europea è ancora immobile, nonostante le elezioni siano avvenute 8 mesi fa. In queste condizioni di debolezza politica, più che contrapporci frontalmente.

Senza dimenticare la necessità di diversificare sia le fonti di approvvigionamento che le destinazioni del nostro export (ma questo vale sempre, Trump o non Trump), dobbiamo puntare a rendere le nostre imprese, ben prima e ben di più delle nostre dogane, maggiormente competitive.

Dobbiamo essere più bravi, più rapidi e più liberi dalla burocrazia, perché i numeri parlano chiaro. Se le simulazioni riportate dalle pagine del Giornale di Vicenza dell’11 febbraio stimano un rischio potenziale di 380 milioni di euro per l'export vicentino a fronte dei dazi USA, sappiamo di per certo che nel 2019 la sola nostra provincia esportava 1,556 miliardi di euro negli Stati Uniti, mentre nel 2023 la cifra era salita a 2,318 miliardi, con un incremento di 762 milioni. Tuttavia, confrontando i primi tre trimestri del 2022 con i primi nove mesi del 2024 (gli ultimi dati ISTAT territoriali disponibili) dell’export manifatturiero, ovvero quello che a Vicenza fa occupazione, valore aggiunto e innovazione, abbiamo visto un calo da 1,754 a 1,572 miliardi, con una perdita di 182 milioni. Contando solo 3 trimestri su quattro. Questo è il vero trend preoccupante e noi lo abbiamo detto e ridetto anche a commissari europei e ministri italiani, sia pro che contro Trump.

I dazi contano, e molto. Ma ciò che conta ancora di più è la capacità di leggere e interpretare il mercato, che neppure un'amministrazione potente come quella statunitense può controllare del tutto. Dobbiamo dimostrare di essere i più bravi in questo e l’Italia, insieme all’Europa, dovrebbe essere all’altezza della sfida, fornendo alle imprese gli strumenti per esprimere tutto il loro potenziale. O, è coi tempi grami che corrono quasi quasi basterebbe, sarebbe utile che il legislatore ci lasciasse in pace, ci facesse fare il nostro lavoro: produrre prodotti eccezionali, fare ricerca e sviluppo, vendere in tutto il mondo. Cosa che oggi, tra Green Deal ideologico, "ban" e sanzioni propagandistiche, non abbiamo. Questo mi preoccupa ancora più dei dazi: l'incapacità della classe dirigente di leggere l'economia e il mondo al di fuori della propaganda e della necessità di fare costantemente campagna elettorale.

Non dobbiamo cadere nella trappola della paura né reagire in modo impulsivo. Le tariffe imposte dagli Stati Uniti sono parte di una strategia negoziale, non un attacco irreversibile. Se rispondessimo con misure speculari, faremmo esattamente il loro gioco, danneggiando il nostro stesso export. Dobbiamo invece restare focalizzati sulla nostra forza principale: la qualità e l’innovazione delle nostre imprese. Sono gli americani a pagare il prezzo delle loro tariffe, non noi. E non possiamo dimenticare che il loro problema più grande oggi non è la concorrenza europea, ma la carenza cronica di manodopera qualificata, un ostacolo che non si risolve con dazi o propaganda. Basti pensare che la stessa Tesla ha dovuto costruire a Shanghai la sua Gigafactory principale: negli Stati Uniti le condizioni erano troppo sfavorevoli per la manifattura.

L'Europa si trova in un momento cruciale: vedremo come andranno le elezioni in Francia e Germania, due colossi in difficoltà per motivi diversi che, per la loro attuale debolezza, hanno portato l'Italia ad assumere un ruolo particolarmente strategico nell'interlocuzione con gli Stati Uniti. Ma sicuramente Trump sta osservando e attende di capire come si assesteranno gli equilibri europei prima di prendere decisioni definitive. Nel frattempo, dobbiamo ricordare che la media impresa italiana – e vicentina in particolare – è più strutturata, più organizzata e più innovativa della sua controparte statunitense. Inoltre, nella competizione internazionale, siamo, di certo, mediamente più piccoli ma direi più reattivi dei tedeschi nel ristrutturare le nostre aziende, anche se abbiamo perso un po’ di volumi. Non siamo noi a dover rincorrere il mercato, ma chi cerca di sottrarci competitività con scorciatoie protezionistiche.

Ci troviamo, quindi, tra gli Stati Uniti, che stanno anche provando ad attuare una strategia di controllo delle rotte commerciali e della distribuzione energetica, e la Cina, che continua a dominare la manifattura con la sua potenza industriale e il possesso diretto delle materie prime. L’Europa, invece, ha perso tempo prezioso inseguendo regolamentazioni e obiettivi green irrealistici e insostenibili, invece di puntare su sviluppo tecnologico e infrastrutturale e, soprattutto, sulla costruzione di alleanze politiche ed energetiche, come ci ha insegnato Mattei. Eppure, in molti settori siamo ancora noi a dettare gli standard globali. Non dobbiamo quindi cedere all’idea che il nostro destino sia solo subire le decisioni altrui. Il vero punto critico su cui intervenire è colmare i gap su digitalizzazione, industria spaziale, nucleare, infrastrutture e una politica energetica solida. Se riusciremo a garantire costi energetici competitivi (che sul lungo termine solo il nucleare può garantire in termini di economicità e sostenibilità ambientale) e a continuare a innovare, la forza delle nostre imprese farà la differenza.