Nel Nord Italia la glaciazione demografica stritola il sistema produttivo, mette a repentaglio il welfare state, riduce la capacità di affrontare le transizioni gemelle verde e digitale e abbassa il potenziale di crescita, destabilizzando la sostenibilità del debito pubblico.
Come si affrontano le conseguenze della glaciazione demografica? Con quattro contromosse:
1) attrarre e valorizzare i giovani,
2) coinvolgere pienamente le donne,
3) rinviare il pensionamento
4) accogliere più immigrati.
Ciascuna agisce su uno o più effetti della glaciazione demografica, e ciascuna sarà oggetto di un approfondimento dedicato nelle prossime 4 settimane.
In questo articolo iniziamo prendendo in considerazione la sintesi dei "numeri in gioco" realizzata dalla Fondazione Nord Est.
I numeri in gioco
Il Nord Italia perde 2,3 milioni di abitanti entro il 2040, passando da 27,4 milioni del 2023 a 25,1 milioni, in assenza di apporti esterni.
Il calo sarà di 1,4 milioni nel Nord-ovest e di 939mila nel Nord-est. Con forti differenze tra le variazioni percentuali nelle regioni settentrionali: meglio andranno Alto Adige, Trentino e Lombardia; peggio Liguria, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte. Le altre hanno una variazione in linea con la media (-8,5%)
Sono previsioni ottimistiche, perché incorporano la ripresa delle nascite. Senza tale ripresa, che vale 385mila nati in più nei prossimi 17 anni, il calo demografico supererebbe i 2,7 milioni. La ripresa della natalità è una costante di tutti gli esercizi di proiezione demografica e non si è mai concretizzata.
Il secondo effetto della glaciazione demografica è la massiccia riduzione delle persone in età di lavoro e degli occupati. Una riduzione che è maggiore del calo della popolazione perché oggi le coorti anziane sono più numerose di quelle giovani, cosicché l’uscita delle prime dal mercato del lavoro non può essere compensata dall’ingresso delle seconde.
Le persone in età di lavoro nel Nord Italia diminuiscono tra il 2023 e il 2040 di 3,2 milioni, da 16 milioni a 12,8 (sempre in assenza di rinforzi da fuori). È una diminuzione di un quinto, con dinamiche simili tra regioni, con eccezioni in positivo (Alto Adige e Trentino) e in negativo (Friuli-Venezia Giulia e Liguria).
Dal minor numero di persone in età di lavoro discende il forte restringimento della platea delle persone occupate: -2,4 milioni nel Nord Italia, dagli 11,4 milioni del 2023 ai 9,4 milioni del 2040.
Le variazioni percentuali regionali sono identiche a quelle delle persone in età di lavoro. L’ipotesi è che il tasso di occupazione rimanga costante al livello del 2023. In realtà, aumenterà con il passaggio dell’attuale coorte dei 35-54enni, in cui quattro su cinque lavorano, alla fascia di età 55-64 anni, dove meno di due su tre sono occupati.
Infatti, la coorte dei 35-54enni è formata da persone che hanno cominciato a lavorare più tardi e su cui maggiormente incidono le riforme previdenziali, per cui in poche potranno ritirarsi in pensione prima di compiere i 65-67 anni.
Nel caso estremo in cui tutte continuassero a lavorare fino al compimento dei 65 anni (e vivessero fino ad allora), il calo degli occupati diminuirebbe di 833mila unità, con forti differenze regionali. Il numero va considerato come limite massimo, ben sapendo che le ipotesi con cui è stato calcolato lo rendono irraggiungibile.
I guadagni percentuali maggiori ci sarebbero in Alto Adige, Trentino e Lombardia. I minori in Liguria e Friuli-Venezia Giulia. In termini assoluti spiccano Lombardia, con +311mila occupati aggiuntivi, Veneto (+157mila), Emilia-Romagna (+135mila) e Piemonte (+129mila), regioni nettamente più popolose.
Il terzo e più drammatico effetto della glaciazione demografica è la sparizione dei giovani. Nel 2002 i 18-34enni che vivevano nel Nord Italia erano 5,8 milioni. Nel 2023 ne erano rimasti 4,7 milioni, ma senza gli arrivi dall’esterno sarebbero stati 3,6 milioni. Nel 2040 ce ne saranno meno di quattro milioni, ossia una diminuzione di quasi 1,8 milioni dal 2002, in assenza di ulteriori afflussi interni e internazionali.
La drammaticità della riduzione è esaltata dalle variazioni percentuali, che sono molto superiori a quelle della popolazione nel suo insieme. In altre parole, diminuiscono più rapidamente i giovani che gli abitanti totali; un altro modo di constatare l’invecchiamento della popolazione.
La rarefazione dei giovani è dovuta alla passata bassa natalità ed è perciò più accentuata là dove sono nati meno figli: Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Veneto occupano le prime quattro posizioni per entità del calo percentuale; mentre Trentino, Valle d’Aosta e Alto Adige
sono messe meglio.
La diminuzione dei 18-34enni assume una connotazione ancor più negativa perché si associa alla scarsa attrattività che determina la fuoriuscita di giovani italiani dal Paese, e specialmente dalle regioni settentrionali, non compensata da un flusso di analoga portata di giovani provenienti dagli altri Paesi più avanzati d’Europa.
Per memoria, negli undici anni 2011-2021 sono andati via dal Nord Italia 216 mila giovani italiani, 147mila più di quanti siano tornati.
Siccome l’effetto della glaciazione demografica sul numero di giovani è il più importante dimensionalmente e il più rilevante per il futuro della società e della economia del Settentrione d’Italia, è d’obbligo partire da questo per esaminare le quattro contromosse citate all’inizio.
1) attrarre e valorizzare i giovani - pubblicazione articolo mercoledì 3 luglio
2) coinvolgere pienamente le donne - pubblicazione articolo mercoledì 10 luglio
3) rinviare il pensionamento - pubblicazione articolo mercoledì 17 luglio
4) accogliere più immigrati - pubblicazione articolo mercoledì 24 luglio
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