08/04/2024

Glaciazione demografica: senza migrazioni, -388mila persone in Veneto

Nota della Fondazione Nordest: come se sparissero tutti gli abitanti di Padova, Vicenza e Treviso.

La glaciazione demografica è cominciata

La glaciazione demografica in Italia è cominciata. E avrà un moto accelerato come quello dei fenomeni fisici quando superano il punto di non ritorno. Cosicché i numeri diventeranno molto grandi al di là della nostra immaginazione, abituata alle sequenze lineari. In una mini serie di quattro Note, la Fondazione Nord Est mette a nudo questi numeri nella loro cruda realtà e nelle loro conseguenze, dedicando l’ultima uscita alle alternative politiche per il mercato del lavoro.

Una premessa lessicale è necessaria: glaciazione, non inverno come tutti usano dire per descrivere i fenomeni in atto. Perché questo cambio di termine? Non è un vezzo linguistico né è voglia di sensazionalismo. Semplicemente nasce da una forte esigenza di chiarezza. Infatti, la parola (logos) è il modo in cui gli esseri umani rappresentano il mondo, ossia lo descrivono e lo immaginano. Dire «rosa» invece di «margherita» o di «bue» richiama cose simili o diversissime, e ci consente di capire quale realtà descriviamo e le sue implicazioni corrette. «Inverno» è una stagione nel ciclo annuale, cui segue sempre la primavera: lo ripeteva spesso Peter Sellers, alias Chance il giardiniere nell’indimenticabile film Oltre il giardino. Nel nostro caso, invece, non c’è alcuna primavera alle viste, ma un lungo periodo di gelo crescente nelle dinamiche della popolazione. Una glaciazione, appunto.

Se ci figuriamo una glaciazione, invece di un inverno cui segue la primavera, allora ci prepariamo per affrontare quel che sta accadendo e che sempre più accadrà. Viceversa, continuando a chiamarlo inverno si edulcora la realtà con una falsa speranza, implicita nel termine stesso, che arriverà presto la primavera, e l’atteggiamento mentale diventa di paziente attesa, anziché di azione. Evitiamo, allora, cocenti disillusioni e attrezziamoci per lo scenario vero.
 

Natalità ai minimi, saldo naturale da tempi di guerra

In Italia, e altrove, l’avvio della glaciazione demografica è molto evidente in due indicatori: la natalità e il saldo naturale, cioè la differenza tra nati e morti. La natalità è scesa nel 2023 a un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia, l’undicesimo di fila dal 2013. Cioè, ogni anno si è fatto un passo indietro. 

Il saldo naturale è doppiamente  in  discesa: perché calano le nascite e perché aumentano le morti (che sono il minuendo nella sottrazione), man mano che si avvicinano all’età dell’exit coorti di popolazioni più numerose, come quelle del baby boom che ha caratterizzato l’Italia sessant’anni fa. Ormai il saldo naturale è arrivato a livelli perfino inferiori a quelli sperimentati in passato durante le guerre mondiali, ed è superato all’ingiù solo dalla catastrofica epidemia di influenza spagnola nel 1918. In particolare, va sottolineata l’accelerazione della caduta del saldo naturale negli ultimi dieci anni: dopo che era rimasto negativo attorno a poche decine di migliaia tra il 1994 e il 2013, ora è dieci volte più basso.

Sommando anno per anno il saldo naturale dal 1994 in poi, cioè da quando è diventato per la prima volta negativo, si ha una perdita di 2,7 milioni nella dimensione della popolazione italiana. La quale, invece di tracollare, è aumentata grazie all’immigrazione, il fenomeno nuovo per l’Italia contemporanea. Sull’immigrazione torneremo nelle prossime Note di questa serie.


Cosa accadrà entro il 2040?

La domanda ora è: cosa accadrà nei prossimi anni? Prossimi vuol dire da qui al 2040. Perché il 2040? Per due ragioni: la prima è che è dopodomani, cioè tra poco più di quindici anni, un tempo breve per i processi demografici e per le possibilità di influenzarli; la seconda è che qualunque cosa si riesca a fare oggi per innalzare la natalità, chi nascerà in questo arco di tempo non avrà raggiunto allora l’età per lavorare e, quindi, non contribuirà al sistema produttivo della società italiana.

Partendo da questa domanda la Fondazione Nord Est ha rivisitato le recenti previsioni demografiche ISTAT per tutto il Nord Italia, intervenendo su due variabili importanti: il saldo migratorio interno e quello con l’estero.
Questi due saldi sono stati azzerati, non tanto perché saranno nulli, quanto perché da un lato sono molto volatili e aleatori e quindi difficili da prevedere e, dall’altro, perché l’intenzione della Fondazione è di evidenziare cosa sta accadendo nelle regioni settentrionali senza l’apporto demografico di quelle meridionali, essendo i movimenti netti interni delle persone sistematicamente unidirezionali, da Sud a Nord, e senza l’apporto degli afflussi dagli altri Paesi, che avverranno sempre più dal continente africano. Cioè, si è creato lo scenario demografico tendenziale sulla base del quale prendere coscienza della gravità dei fenomeni in atto e approntare le misure politiche necessarie.

Non si sono invece toccati i tassi di natalità e il numero medio di figli per donna in età feconda, che sono previsti dall’ISTAT in leggero recupero. Una scelta dettata da una ragione pratica, di semplificazione dei calcoli, tenuto conto che gli incrementi stimati non modificano significativamente il quadro, e da una ragione politica: il modesto aumento della natalità non basta e questo è il più forte invito ad agire con la massima urgenza e determinazione, anche per la dimensione e il coraggio degli interventi, sul fronte delle nascite, trasformandole da una questione privata a una questione dell’intera società. Inoltre, le previsioni di incremento delle nascite sono scritte con l’inchiostro dell’auspicio più che con quello estratto da un modello; come dimostra l’errore compiuto sul 2023, quando si metteva in contro una prima e lieve ripresa dei figli per donna in età feconda dall’1,24 del 2022 all’1,27, e invece c’è stata un’ulteriore e marcata flessione all’1,20.


Una caduta di 2,3 milioni nel Nord Italia

La glaciazione demografica ha effetti catastrofici sulla dimensione della popolazione settentrionale italiana. In tutto il Nord si avrà un calo superiore ai 2,3 milioni di persone entro il 2040, passando dai 27,4 milioni del 2023 ai 25,1.
Nel Nord-est la riduzione sarò di 939mila persone, nel Nord-ovest di 1,4 milioni, differenza data soprattutto dalla diversa consistenza di partenza (11,6 milioni contro 15,9).

La discesa assoluta sarà fin da subito rapida: -143mila unità all’anno nei prossimi sette anni nel Nord Italia; poi si attenua a -133mila nei successivi dieci. La minore discesa nella seconda parte del periodo si spiega tutta con l’ipotesi “eroica” di aumento delle nascite annue; un aumento pari a 11mila unità tra il 2023 e il 2030 e a 23mila tra il 2023 e il 2040. Senza tale aumento e con la natalità inchiodata ai valori dello scorso anno, la discesa accelererebbe ulteriormente e si aggiungerebbero altre 385mila persone alla diminuzione della popolazione del Settentrione. Come detto, l’incremento della natalità è tutto da verificare: basti pensare che per il 2023 l’ISTAT un anno e mezzo fa aveva previsto al Nord 183mila nascite, mentre ce ne sono state 174mila. D’altra parte, tutte le passate previsioni demografiche hanno stimato un valore mediano di nati che si è rivelato più elevato di quanto si è effettivamente registrato. La ragione è che si sono state basate sull’assunto che il livello raggiunto dagli indicatori di natalità fosse anormalmente basso e perciò destinato a risalire; un assunto smentito dalle ulteriori diminuzioni.


Lombardia, Piemonte e Veneto con le maggiori perdite

La caduta della popolazione settentrionale nei prossimi diciassette anni equivale al dimezzamento degli abitanti dell’Emilia-Romagna o del Veneto. Se mettiamo in fila le regioni del Nord in base alla diminuzione assoluta prevista dei residenti, al primo posto c’è la Lombardia, con -673mila, seguita dal Piemonte (-493mila) e dal Veneto (-388mila), il quale precede l’Emilia-Romagna di poco (-386mila).
Se usiamo, invece, le variazioni percentuali, il calo maggiore si ha in Liguria (-14,2%), seguita da Friuli- Venezia Giulia e Piemonte (appaiate a -11,6%), Emilia-Romagna (-8,7%), Veneto (-8,0%), Lombardia (-6,7%), Trentino (-3,8%) e Alto Adige (-1,2%).

Giocare a “cancella le città”
Con questi numeri si può fare il gioco del “cancella la città”: quante e quali città, grandi o piccole, sparirebbero se la perdita di abitanti fosse concentrata in esse. Qualche esempio.

-    In Veneto sparirebbero, nel senso che diventerebbero deserte come un villaggio fantasma nei film western, i comuni di Padova, Vicenza e Treviso, oppure, alternativamente ma tutte insieme, Bassano del Grappa, Belluno, Conegliano, Montebelluna, Vittorio Veneto, Valdagno, San Bonifacio, Arzignano, Feltre, Abano Terme, Valeggio sul Mincio, Malo, Marostica, Ponzano Veneto, Peschiera del Garda, Recoaro Terme, Cortina d’Ampezzo e Garda.

-    In Trentino si svuoterebbero Riva del Garda e Folgaria o tutte le valli Cembra, Fiemme e Fassa.

-    In Friuli-Venezia Giulia diverrebbero città fantasma Udine, Gorizia e Lignano Sabbiadoro, oppure tutte insieme Monfalcone, San Vito al Tagliamento, Muggia, Spilimbergo, Cividale del Friuli, San Daniele del Friuli, Campoformido, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Manzano, San Giovanni al Natisone, Palmanova, Tarvisio, Aquileia, Sequals, Vajont.

-    In Emilia-Romagna si spopolerebbe l’intera Bologna, oppure Parma più Modena, oppure Ravenna+Rimini+Faenza+Salsomaggiore Terme, oppure il gruppo composto da Carpi, Imola, Sassuolo, Cento, Riccione, Vignola, Cesenatico, Mirandola, Maranello, Brisighella, Marzabotto, Busseto, Predappio, Cortemaggiore, Canossa, Iolanda di Savoia.

-    In Alto Adige a scelta Silandro o Naturno o Valle Aurina; oppure l’insieme di Selva di Val Gardena, Corvara, Fortezza e Glorenza.

-    In Piemonte diverrebbero disabitate Alessandria, Asti, Cuneo, Moncalieri, Collegno, Rivoli, Nichelino, Vercelli e Biella.

-    In Lombardia si svuoterebbero Brescia, Monza, Bergamo, Como, Varese e Pavia, cioè il secondo, il terzo, il quarto, il sesto e il nono comune per abitanti della più popolosa regione d’Italia.

Le liste di città riportate qui sopra sono naturalmente soggettive e hanno l’unico scopo di far meglio comprendere la dimensione della diminuzione degli abitanti delle regioni settentrionali italiani, colpendo l’immaginazione. Chiunque può divertirsi a creare la combinazione di città da “cancellare” in ogni regione sulla base della perdita della popolazione attesa in assenza di flussi migratori interni ed esterni; basta utilizzare il file ISTAT che riporta gli abitanti in ciascun comune di ogni regione e che è caricato sul sito della Fondazione Nord Est. 
 

Gli effetti territoriali ed economici

Naturalmente la diminuzione non sarà affatto concentrata in singoli luoghi, come avviene nel gioco “cancella la città”, ma sarà diffusa in modo per nulla uniforme. Penalizzati, infatti, saranno i centri più remoti e isolati, con minori servizi (sanità, scuole…), dove inferiori sono le prospettive di lavoro e di vita sociale.

Non a caso ormai da molti anni ci si preoccupa delle aree interne, cioè dei «territori fragili, distanti dai centri principali di offerta dei servizi essenziali e troppo spesso abbandonati a loro stessi, che però coprono complessivamente il 60% dell’intera superficie del territorio nazionale, il 52% dei Comuni ed il 22% della popolazione», come si legge sul sito dell’Agenzia per la coesione territoriale. L’abbandono di questi luoghi ha conseguenze di varia natura, a cominciare dal venir meno della manutenzione dei boschi e dei terreni e dal conseguente aumento del dissesto idrogeologico, con ripercussioni per le pianure sottostanti, come dimostrano le alluvioni in Romagna nel 2023 (ultime di un lungo elenco).

Questi effetti sono solo una piccola parte delle conseguenze economiche della glaciazione demografica. Le principali passano attraverso il mercato del lavoro e, quindi, verranno descritte nella prossima Nota che indica le ricadute occupazionali della diminuzione della popolazione nelle regioni del Settentrione. Qui esaminiamo in modo sintetico altre variabili che verranno influenzate.


Meno consumi e investimenti

Meno abitanti vuol dire minore mercato interno, dunque più bassi consumi ma anche investimenti inferiori. Nei consumi, oltre all’abbassamento, ci sarà una forte ricomposizione: infatti la glaciazione demografica sta ridisegnando la piramide per età della popolazione, con incremento degli anziani e diminuzione dei giovani. Potremmo sintetizzare: meno pannolini e più pannoloni.

In realtà ci saranno minori acquisti di ogni genere di beni, dall’alimentare alle autovetture, dagli elettrodomestici all’arredamento, dall’abbigliamento al largo consumo (ossia prodotti per la casa e la bellezza). Mentre terranno quelli per i servizi, sicuramente saliranno quelli sanitari (ci sarà un’”epidemia” dei famosi acciacchi…) e forse quelli Horeca e per gli spettacoli, mentre le discoteche saranno meno gettonate.

Negli investimenti perderanno colpi sicuramente quelli per la casa: meno abitanti uguale minor fabbisogno abitativo, anche dimensionalmente. D’altra parte, caleranno i nuclei familiari2 e, con l’avanzare dell’età, scemerà in quelli esistenti la voglia di farsi una casa “più grande e più bella che pria”. Una minore domanda di abitazioni ha effetti depressivi sul mercato immobiliare, che terrà bene solo nei centri urbani più dinamici e importanti, mentre i valori cadranno nei piccoli centri (già oggi si può osservare tale effetto sul mercato italiano).

Diminuirà il capitale fisico in generale, vuoi per la contrazione della domanda finale di consumi, vuoi per la riduzione dell’occupazione, sempre in assenza di flussi migratori. Quindi ci sarà meno domanda di macchinari, di uffici, di spazi commerciali, di mezzi di trasporto collettivo, e così via.


Minore risparmio

D’altra parte, ci sarà anche minore accumulazione di risparmio, e quindi minore necessità di gestione dello stesso. Con ricadute sul mercato dell’intermediazione mobiliare, bancaria e finanziaria in generale. Effetti tutti da esplorare, giacché si incrociano con la diffusione del fintech.

Ovviamente, queste conseguenze sono a parità di altre condizioni. Cioè, la glaciazione demografica abbasserà la temperatura della domanda e dell’offerta, un abbassamento che potrà essere contrastato con l’elevazione dei redditi per abitante e l’incremento della produttività, certamente.

È bene iniziare a fare i conti con tali prospettive. Ora non ci si potrà più rifugiare dietro la scusante del «nessuno ce lo aveva detto, nessuno ci aveva avvisato».


Questa nota è stata preparata da:
Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior
Luca Paolazzi, direttore scientifico