"Con viva attenzione ho letto dell’ultimo rapporto annuale "L'economia del Veneto" della Banca d’Italia, che invita a riflettere sul futuro del nostro modello produttivo. È un contributo utile, perché stimola tutti – istituzioni, imprese, corpi intermedi – a interrogarsi su solidità e prospettive dell’economia veneta.
Proprio per questo credo sia necessario completare il quadro con alcune considerazioni fatte dal cuore di quel Veneto composto da PMI manifatturiere esportatrici che fanno parte delle principali catene del valore mondiale. Ovvero considerazioni fatte da Confindustria Vicenza.
Per prima cosa, riportiamo i numeri che ci riguardano più direttamente: quelli dell’export manifatturiero.
Nel 2019 (pre-Covid), il valore di queste esportazioni era pari a 18,36 miliardi di euro (con 10,2 miliardi di saldo commerciali positivo), mentre nel 2024 il valore fu di 22,4 miliardi di euro (con 13,22 miliardi di saldo commerciale positivo). Gli oltre 4 miliardi di crescita (+22%) dell’export manifatturiero vicentino non devono, però, trarre in inganno.
Tutti abbiamo conosciuto le cospicue oscillazioni inflattive di questi anni, quindi, in termini reali (depurando quindi il dato dall’inflazione, utilizzando l’Indice dei Prezzi all’Esportazione) dobbiamo dire che rispetto al 2019, l’export manifatturiero vicentino è calato di circa lo 0,2%.
Nel mezzo, però, ci sono stati: il lockdown, il rimbalzo, lo shock energetico, la frenata tedesca (questa, sì, strutturale), conflitti drammatici sul campo e cosiddette “guerre commerciali” più o meno latenti.
Quindi, sì, siamo leggermente calati rispetto al pre-Covid e, sì, siamo calati molto di più rispetto al boom del 2022 (23,3 miliardi in termini nominali, comunque “gonfiati” dall’inflazione, che, in termini reali rappresentano un +7% rispetto al 2019).
Ma facciamo fatica a pensare che questa stagnazione dell’export, seppur in presenza di una generale crescita (comunque modestissima) del PIL italiano, sia un problema strutturale del sistema delle esportazioni vicentine e, mutatis mutandis, venete.
Ovviamente le considerazioni più complete si potranno fare man mano che passano i trimestri, ma pare che stiamo vivendo la coda di un ciclo economico parzialmente negativo per l’industria (lo abbiamo denunciato più e più volte: abbiam passato 26 mesi di calo della produzione industriale consecutivi, mentre il Paese festeggiava la crescita del turismo…) in un periodo funestato da situazioni straordinariamente negative.
Quello che vedo io è comunque la grande capacità dell’industria vicentina di tenere le posizioni, di sfruttare le proprie qualità (flessibilità e un sistema produttivo policentrico e multisettoriale), a fronte di un contesto fortemente avverso, ivi compreso quello normativo europeo del Von der Layen 1, e di una Cina sempre più “pressante” sui nostri mercati.
Detto ciò, non significa che tutto vada bene, significa però che il nostro tessuto di piccole e medie imprese ha saputo affrontare e superare prove complesse con una forza e una continuità produttiva che meritano di essere riconosciute. Tanto è vero che siamo subissati di richieste d’acquisto delle nostre aziende da parte di fondi, per lo più stranieri.
Questo significa che l’attrattività e la solidità del nostro sistema imprenditoriale non sono affatto in discussione: anzi, vengono riconosciute da chi guarda con attenzione – e con capitale – alle imprese capaci di creare valore, innovare e generare utili nel lungo periodo. Essere oggetto d’interesse da parte di fondi internazionali non è un segnale di debolezza, ma la conferma che qui esistono know-how, filiere e competenze che il mondo considera strategici.
Poi, i deficit del nostro sistema, intesto come Sistema Paese, Sistema dei distretti veneti, del comparto energetico nazionale, delle infrastrutture (fisiche e digitali) etc… ci sono, li vediamo da decenni, li denunciamo da decenni, non vediamo grossi miglioramenti e questi deficit, prima o poi, presenteranno il conto non tanto al tessuto dell’export veneto, ma al Paese.
Ma discutere di queste leve non significa certificare la fine di un modello: significa, al contrario, lavorare perché il modello resti competitivo.
Detto ciò, parafrasando Mark Twain: “La notizia della morte del modello veneto dell’export è fortemente esagerata”, nonché già sentita più volte negli ultimi tre decenni.
Viviamo, è vero, un momento complesso. Due pilastri con cui abbiamo lavorato a lungo in modo efficace stanno attraversando fasi di incertezza: da un lato gli Stati Uniti, che oggi non possono più essere considerati un porto completamente sicuro; dall’altro la Germania, che sta rivedendo in profondità le traiettorie della propria industria. Sono convinta che Berlino saprà ritrovare slancio e che gli USA sarà ancora nostro prezioso partner.
Ma le ragioni del mio ottimismo per il futuro vanno oltre l’orizzonte congiunturale: risiedono nella natura stessa del modello veneto.
Un modello fondato su imprese che producono macchinari su misura, componenti medicali nati da brevetti di altissimo livello, tessuti ad alto contenuto tecnologico, applicazioni nella Space Economy in rapida ascesa, e molte altre specializzazioni di nicchia. Settori in cui la competizione non si gioca sul prezzo standard, ma sulla capacità di co-progettare con il cliente, certificare ogni anello della filiera, e consegnare in tempi rapidissimi lotti altamente personalizzati.
Quando il mercato globale cerca partner affidabili, flessibili e vicini, la manifattura veneta risponde. E lo fa con competenza, velocità e visione.
Alla luce di tutto ciò invito a leggere il rallentamento degli ultimi trimestri non come un cedimento strutturale bensì come un assestamento dopo due anni di crescita, “dopata” anche dall’inflazione. La domanda europea ha rallentato, i costi di finanziamento hanno frenato gli investimenti, ma le nostre imprese non è che si siano prese una pausa, bensì stanno per ripensando i propri mercati, ricomponendo i margini e ricostituendo nuove filiere, per non rinunciare a competere.
Per questo accolgo con rispetto le analisi della Banca d’Italia e rilancio un messaggio di fiducia: i numeri raccontano di un comparto che ha saputo attraversare crisi epocali senza disperdere capacità produttiva, occupazione e know-how. Con l’impegno congiunto di imprese, istituzioni e territori possiamo trasformare questa “calma piatta” in una nuova stagione di crescita, innovazione e sostenibilità.
È un progetto ambizioso, ma il Veneto industriale ha già dimostrato di possedere gli anticorpi – e il coraggio – per realizzarlo".