La nota della Presidente di Confindustria Vicenza Laura Dalla Vecchia in merito ai paventati dazi USA, previsti per il 2 aprile.
Vicenza esporta ben il 30% del totale dell’export regionale negli USA: è un nostro mercato di riferimento e la cifra indicata non riporta il cosiddetto export indiretto, ovvero quello che noi mandiamo verso, ad esempio, la Germania (ed è il caso tipico dell’automotive) e che poi finisce negli USA.
I dazi, quindi, sì, avranno un impatto, se ci saranno.
Un impatto diretto, perché sicuramente i consumi negli States caleranno e, indipendentemente da chi vorrà rinunciare al Made in Italy, comunque ci sarà già un effetto: quello sulla fiducia. Le aziende rallentano gli investimenti e i consumatori frenano, esattamente come succede anche da noi.
I nostri partner americani non sono sereni; anche loro stanno attendendo, cercando di capire cosa succede.
Una cosa però ci tengo a dire: disperarsi non serve.
Serve valutare con grande attenzione di non far partire una spirale applicando controdazi, e quello è il ruolo del Governo e dell’Europa.
Dall’altra parte, noi, in qualità di tessuto produttivo, prendiamo atto che ci sono dazi che calano dall'alto e reagiamo difendendo il mercato più vicino, quello europeo, quello del Mediterraneo per esempio.
Ma non con i dazi, non chiudendo il mercato, bensì diventando concorrenziali con quello che sarà sempre più il nostro primo concorrente, soprattutto in ambito automotive: la Cina. Paese che sicuramente verrà ad aggredire i nostri mercati perché, a sua volta, ha difficoltà nel mercato interno e sarà colpito dai dazi americani.
Siamo consapevoli che è difficile, ma dobbiamo rimetterci in gioco e affrontare il tema della competitività con la concorrenza cinese, che ha costi più bassi (dobbiamo analizzare i perché e capire dove possiamo migliorare senza derogare ai nostri valori, ovviamente) e che realizza anche prodotti diversi con forniture differenti (un’Audi o una Mercedes, ricca di componenti made in Vicenza, è diversa da una BYD).
Certo, se andiamo in concessionaria e vediamo una Volkswagen, che letteralmente vuol dire “auto del popolo”, siamo in difficoltà a capire come possa esserlo, visti i listini prezzi. Non lo è più: rischia di diventarlo la cinese BYD.
Ecco, qui dobbiamo agire, non farci sostituire.
Con quali priorità? Abbassare i costi del prodotto.
Costi che sono composti da tante voci, dal costo dell’energia — che dopo l’invasione russa è insostenibile — ai costi di sistema e alla burocrazia, oggettivamente eliminabili; ma il lavoro da fare è più ampio, un lavoro che va svolto in trasparenza anche in condivisione con i sindacati.
Poi, certo, abbiamo anche i nostri assi da giocare.
Abbiamo un vantaggio logistico nel nostro mercato europeo, che rimane uno dei più ricchi del mondo. Non dobbiamo fare prezzi “cinesi”, ma neanche costare tre volte tanto.
Insomma, se sui dazi USA, lungi dall’essere un’opportunità, sono sicuramente un danno, come imprese possiamo fare poco: dobbiamo lavorare come filiere europee per difendere i nostri mercati dal nuovo concorrente che si affaccia, la Cina manifatturiera.
Dobbiamo capire dove e come proporre prodotti alternativi. E non parlo della Ferrari, che è lusso e fa storia da sé — probabilmente continuerà a difendere i propri margini anche negli USA —, ma dei prodotti per tutti i consumatori, quelli di massa.
Quindi, non nascondo la preoccupazione, ma anziché piangerci addosso, dobbiamo riscoprire i nostri punti di forza, sfruttarli e crearne di nuovi, perché il concorrente è capace e agguerrito.
Tra i punti di forza, c’è da insistere su innovazione, processi e servizi. Non conosco altre formule.
Servirebbe solo più sostegno alla manifattura da parte della politica che deve riconoscere i gravi problemi occupazionali che esistono e sviluppare un piano di sostegno alle aziende manifatturiere. Non vogliamo incentivi a fondo perduto, ma sostegno alla ricerca e sviluppo e defiscalizzazione efficace per chi investe. Il 5.0 è un altro fallimento di cui prendere atto.