Cresce la quota dei laureati, ma tanti i giovani emigrati con titoli medio-bassi
La nuova ondata migratoria dei giovani italiani, iniziata nel 2011, si sta sempre più caratterizzando come uscita di laureati. Se fino al 2018 la loro quota era inferiore al 30%, dal 2019 è iniziata a salire fino a superare di slancio il 43% nel 2022. Non sono ancora disponibili i dati 2023, in attesa di validazione all’ISTAT.
L’emorragia dei giovani laureati è particolarmente intensa dalle regioni settentrionali, dove pure le occasioni di impiego dovrebbero essere maggiori, data la più elevata concentrazione di imprese manifatturiere e di servizi basati sulla conoscenza.
Così nel 2022 oltre la metà dei giovani che sono partiti da Friuli-Venezia Giulia e Lombardia aveva il diploma universitario, e quasi la metà quelli che hanno lasciato Emilia-Romagna e Veneto per l’estero. Segno che il tessuto produttivo non sa valorizzarli come accade negli altri paesi europei avanzati. A riprova della scarsa attrattività dell’Italia per i giovani.
All’opposto, una quota minore di giovani emigranti che partono dalle regioni del Sud è laureata. Occorre considerare che molti giovani meridionali finiscono gli studi negli atenei settentrionali, o del centro del Paese (soprattutto romani), prima di emigrare.
L’aumento dei laureati che emigrano è stato particolarmente forte nelle regioni nordestine: +19,3 punti percentuali la differenza tra 2022 e media 2011-22 in Friuli-Venezia Giulia, seguito dal Veneto con +16,0 punti; al terzo posto le Marche (+15,0 punti), poi Lombardia (+14,4) ed Emilia- Romagna (+14,0).
Nel 2022 oltre il 40% dei giovani italiani emigrati aveva completato solo gli studi secondari superiori, contro il 38% della media 2011-22. Mentre solo il 17% non aveva concluso il percorso formativo superiore, rispetto al 31% medio del periodo.
Se i laureati sono facilmente etichettabili come “talenti”, non vanno trascurati i valori di intraprendenza, coraggio, voglia di fare e imparare, di affermarsi e darsi chance migliori di chi lascia il Paese pur sprovvisto del più alto titolo di studio.
Con i giovani annualmente esce dall’Italia un investimento di 8,4 miliardi
Nella media del biennio 2021-22, il valore annuo del capitale umano uscito con i giovani è stato di 8,4 miliardi a prezzi del 2023. Al primo posto la Lombardia, con un deflusso annuale che si colloca a 1,4 miliardi, e al secondo il Veneto, con 0,9 miliardi, poi la Sicilia e la Campania (0,8), il Piemonte (0,7) e l’Emilia-Romagna.
Nei tredici anni 2011-23 il valore del capitale umano che se ne è andato dall’Italia, incorporato nei giovani 18-34 emigrati, è pari a 133,9 miliardi, con la Lombardia a svettare per perdita (22,8 miliardi), seguita dalla Sicilia (14,5) e dal Veneto (12,5). Quarta la Campania (11,7). Il dato del 2023 è stato calcolato distribuendo il saldo migratorio dei giovani usciti dall’Italia in base alla distribuzione media per titoli di studi dei saldi migratori registrata nel biennio 2021-22.
Un aspetto rilevante è che, simmetricamente all’aumento della quota dei laureati sui giovani che emigrano, si è registrato nel biennio 2021-2022 il calo della quota dei laureati sui giovani che rientrano.
La stima del valore del capitale umano uscito è stata effettuata dalla Fondazione Nord Est utilizzando i dati OCSE sul costo annuo per alunno sostenuto dall’amministrazione pubblica per educazione primaria e secondaria (inferiore e superiore) e terziaria, così come pubblicato nell’edizione di Education at a Glance 2024. I dati si riferiscono al 2021.
Il costo annuo di ciascun ordine e grado di studi è stato moltiplicato per il numero di anni curriculari. A questi costi, che non comprendono quelli del Sistema integrato per l’educazione 0-6 anni, che non ha uguale diffusione sul territorio nazionale, né i costi sanitari e le altre spese pubbliche divisibili (per esempio, trasporto pubblico agevolato, raccolta rifiuti) e indivisibili (per esempio, sicurezza, difesa, costruzione e manutenzione stradale), sono state aggiunte le spese sostenute dalle famiglie per crescere un figlio fino alla maggiore età, spese stimate da Federconsumatori a valori del 2020. Per i laureati, il sostegno di tali spese è stato prolungato fino al 25° anno di età.
La somma di questi costi e queste spese è stata moltiplicata per il saldo migratorio dei giovani italiani in ciascun anno, in base al titolo di studio conseguito, ipotizzando che in chi non ha conseguito il diploma della scuola secondaria superiore sia stata investita la stessa somma erogata per chi lo ha ottenuto. Per i laureati si sono aggiunti i costi dell’istruzione universitaria (comprensivi della quota destinata alla ricerca) e la spesa delle famiglie fino al 25° anno di età incluso. Le somme sono state riportate ai prezzi 2023 con l’indice ISTAT dei prezzi al consumo.
Italia preda nella caccia ai talenti
I dati di questa Nota, uniti a quelli della precedente, fanno capire che nella caccia globale ai giovani talenti l’Italia sia preda, nel senso che fornisce talenti al resto del Mondo.
Questa scomoda posizione fa rimanere il Paese indietro nella competizione dell’economia della conoscenza. Più in generale, come sottolinea il Rapporto Draghi, “la competitività oggi si gioca meno sul costo relativo del lavoro e più sulla conoscenza e le competenze racchiuse nella forza lavoro”.
L’Italia perde ogni anno una fetta consistente di questa conoscenza e di queste competenze, a beneficio dei Paesi concorrenti che, a cominciare dal sistema imprenditoriale, meglio sanno valorizzare i giovani.
Questa Nota è stata preparata da:
Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior
Luca Paolazzi, direttore scientifico