Il 2024 si conferma un anno impegnativo per il settore industriale. L’osservatorio di Confindustria Vicenza rileva infatti un numero di ore di cassa integrazione ordinaria che nei primi 9 mesi del 2024 ha pareggiato il totale dell’intero 2023.
"La difficoltà dell’industria sono ormai di lungo termine, l’ultimo dato del PIL ha mostrato ciò che per troppo tempo è stato nascosto sotto il tappeto: l’Italia è ferma – spiega Alberto Favero, vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega alle relazioni industriali -. E non si tratta di un rallentamento momentaneo. Siamo nel mezzo di una vera e propria crisi strutturale del modello di sviluppo europeo che era trainato dalla Germania e che ora non lo è più. Questo ci impone un ripensamento profondo, non solo per i costi energetici e delle materie prime, ma anche per una domanda sempre più debole, spesso a causa delle imposizioni europee, oltre che per i conflitti. È indispensabile che il sistema industriale e le istituzioni affrontino insieme questi problemi alla radice, perché solo con interventi di sistema potremo e gettare le basi per un rilancio solido. Francamente, però, è desolante che nonostante le risorse del PNRR, molte delle quali a debito che dovremo ripagare, un cambio di marcia del sistema Paese non si veda. Abbiamo un sacco di corsie ciclabili disegnate su strada, non abbiamo le riforme. Il PNRR doveva trascinare la competitività del sistema Paese e il 2026, in cui questo boost straordinario si deve concludere, è così vicino che è difficile pensare positivo”.
La situazione generale, però, secondo Favero, “non deve scoraggiare, bensì spronare a fare di più: è il momento di concentrarci su innovazione e formazione per costruire un futuro più solido. Stante questo contesto, come spesso succede, noi imprese dobbiamo fare un balzo di competitività doppio, che superi anche i deficit di sistema. Questo però comporta degli sforzi importanti e cambiamenti non sempre indolori, rispetto allo status quo”.
La contrazione della produzione industriale vicentina per 5 trimestri consecutivi (-3,8% nel secondo trimestre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023) sta pesando sui settori chiave come tessile, meccanica e metallurgia, concia tradizionalmente punti di forza dell'economia locale.
“Dobbiamo mantenere un dialogo aperto con i sindacati e costruire un sistema di contrattazione equilibrato – prosegue -. Le richieste di incremento salariale avanzate nel rinnovo dei contratti non possono non guardare alla reale capacità produttiva delle imprese. Per quanto comprensibili in un momento di inflazione crescente (per fortuna in forte frenata in Italia), non si sta tenendo nel dovuto conto come i CCNL dell’industria abbiano già risposto all’aumento del costo della vita, specialmente nell’ultimo biennio. Penso al CCNL metalmeccanico 2021-2024, che ha visto un incremento del 17,08% nel quadriennio 2021/2024, l'83,9% degli incrementi concentrati sui 2 anni 2023 e 2024 a recupero delle fiammate inflazionistiche del 2022 e 2023. Ma in un’Europa in cui Volkswagen chiude stabilimenti, non possiamo pensare ad incrementi slegati dalla produttività compromettano la tenuta del settore industriale già in difficoltà. Oggi, più che mai, serve equilibrio e una visione pragmatica. Le nostre imprese affrontano costi crescenti e margini ridotti, quindi è fondamentale che i salari siano legati ai risultati economici e alla produttività effettiva, per garantire una crescita sostenibile che non metta a rischio i posti di lavoro.
Quindi il primo obiettivo è accrescere la produttività. Dobbiamo investire con decisione nella formazione e nella collaborazione tra aziende e sindacati, per costruire un modello che poggi su innovazione e competenze. L'aggiornamento continuo delle competenze, soprattutto in ambiti tecnologici e sostenibili, è essenziale per il futuro del nostro territorio”.