13/11/2013

Mons. Parolin: quando il consigliere del Papa faceva il prete a Schio

Mons. Pietro Parolin, il nuovo Segretario di Stato vaticano e oggi l'uomo più vicino a Papa Francesco, è nato a Schiavon e ha iniziato il suo cammino di sacerdote a Schio.

C'è un pezzo di Vicenza accanto a Papa Francesco. E' nel cuore del suo nuovo Segretario di Stato, monsignor Pietro Parolin, che Jorge Mario Bergoglio ha chiamato per coprire il ruolo più influente e delicato di tutta la gerarchia vaticana. Mons. Parolin, vicentino di Schiavon dove è nato nel gennaio del 1955, è legato alla nostra provincia non solo dai suoi natali, ma anche dal fatto che a Schio ha iniziato il suo percorso da sacerdote, svolgendo la sua prima (e unica) esperienza di comunità parrocchiale.
Mons. Parolin, dunque, ha iniziato all'ombra del Summano la “carriera” che lo ha portato oggi a diventare il braccio destro di Papa Francesco, primo Segretario di Stato (o Segretario papale, come Bergoglio intende denominare questa carica) di origine veneta da trecento anni a questa parte.

A Schio il giovane Pietro arrivò nel 1979 dal seminario di Vicenza, destinato come diacono alla parrocchia di SS.Trinità, che in quegli anni era in forte espansione all'interno del quartiere più dinamico e in crescita della città. Il parroco, don Angelo Lancerin, era impegnato nella costruzione della nuova chiesa e aveva bisogno di energie giovani per animare una comunità che di giovani e ragazzi ne aveva sempre di più.
Fu dunque proprio a SS.Trinità che il giovane don Parolin celebrò la sua prima Messa, l'11 maggio del 1980, a due settimane dalla sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 27 aprile nel Duomo di Vicenza. Come cappellano, rimase a Schio altri due anni, stando sempre in mezzo ai giovani, dividendosi tra le attività degli scout, quelle dell'Azione Cattolica, la cura dei catechisti e anche l'insegnamento nelle scuole medie del quartiere. Fin quando nel 1982 il vescovo di Vicenza Onisto lo mandò a Roma, destinazione Vaticano, per proseguire gli studi in diritto canonico. Un predestinato. E all'ombra di San Pietro, don Parolin fece quello che doveva fare: studiare e affinare il suo percorso predestinato da alto prelato, prima alla Pontificia Università Gregoriana e poi alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, l'istituzione vaticana che avvia al servizio diplomatico.

Nel 1986 fu inviato come segretario alla Nunziatura apostolica della Nigeria e nell'89 passò alla Nunziatura del Messico, per tornare poi nel '92 a Roma, chiamato alla Segreteria di Stato come responsabile dei rapporti con gli Stati. Lanciato ormai nelle alte sfere diplomatiche vaticane, negli anni Novanta e primi Duemila si è occupato di temi spinosi e delicati relativi a paesi “difficili” come Cina e Israele, compiendo missioni di grande responsabilità. Consacrato vescovo nel 2009, è subito partito per il Sudamerica, nominato nunzio apostolico in Venezuela.
E da quel Sudamerica da dove è arrivato Papa Bergoglio, è tornato ora l'arcivescovo Parolin, destinato a breve a diventare cardinale. Altra tappa di grande prestigio che lo porterà a partecipare al prossimo conclave - speriamo il più tardi possibile vista l'importanza che sta assumendo il papato di Francesco – magari con qualche possibilità di uscirne passando per il balcone della Basilica di San Pietro.

A Schio, nel quartiere di SS.Trinità, sono ancora in tanti a ricordare gli anni giovanili di don Pietro, anche perché c'è chi i rapporti con il neo Segretario di Stato non li ha mai interrotti, tenendoli vivi per trent'anni via posta, telefono, mail e anche visite dirette, a Roma o a Caracas.
Uno di questi è Mario Ruzzante, già negli anni Settanta tra i protagonisti della vita parrocchiale locale. “Don Piero qui da noi era dedicato ai giovani, il nostro era un quartiere in crescita con tante famiglie giovani e tanti ragazzi, l'esigenza era quella di seguire questi giovani per dare loro stimoli positivi e occasioni di svago e di impegno costruttive. Don Piero era una persona alla buona, semplice, ma già così da giovane si vedevano in lui le caratteristiche del diplomatico, si capiva che era destinato ad avere incarichi più importanti in Vaticano e sapevamo che non sarebbe rimasto a lungo da noi. Anche dopo la sua partenza ha sempre mantenuto un rapporto di stima e amicizia con tutti noi, abbiamo tenuto una corrispondenza, siamo andati a trovarlo in Vaticano quando è stato consacrato vescovo”.

Pierpaolo Galbusera in quegli anni era un giovane capo scout di Schio 3°, gruppo scout di cui don Parolin era una sorta di assistente spirituale, con tanto di partecipazione ai campi e alle uscite nei fine settimane.
“Quando è arrivato, noi capi scout lo avevamo inquadrato come un tipo non molto atletico, più di testa che di braccia – ricorda Galbusera -. Per questo eravamo un po' preoccupati dal fatto che le attività fisiche che svolgevamo come scout potessero metterlo eccessivamente alla prova. In effetti era una persona già allora molto riflessiva e pacata. Ma quanto alla resistenza fisica, fu una sorpresa: partimmo per un campo scout di due settimane e lui affrontò tutte le escursioni e le attività con gran piglio; s'incamminava con il suo zaino sulle spalle, che era anche piuttosto pesante, prendeva il suo passo e non si fermava mai. Finiva che arrivava sempre per primo e ci aspettava. Fu soprannominato don Scheggia. Siamo rimasti sempre in contatto, del resto quella qui a Schio è stata la sua unica esperienza di parrocchia, anche per questo ha sempre avuto particolare affetto per SS.Trinità. Ogni volta che tornava in zona, c'era sempre una sera in cui si usciva in gruppo a mangiare una pizza, negli ultimi anni ci raccontava soprattutto la realtà del Venezuela”.

Anche Mario Peron e Daniele Scortegagna, all'epoca giovani parrocchiani, non hanno mai perso di vista il giovane sacerdote che andava assumendo compiti sempre più importanti. Sono andati a trovarlo lo scorso anno in Venezuela. “Ci ha ospitati in Nunziatura apostolica, perché a Caracas non si è particolarmente sicuri neanche negli alberghi – dice Peron -. Abbiamo visitato insieme la capitale, i dintorni, anche l'antica distilleria di rhum della fazenda di S.Teresa. Non è soltanto un fine diplomatico, e anche una persona che sa mettersi alla tua stessa altezza ed è sempre rivolto verso gli altri”. “Qualcuno già allora diceva che avrebbe fatto carriera”, ricorda Scortegagna. E' stato profetico”.

Marina Testa Antonietti è attiva a SS.Trinità da quarant'anni, come catechista, animatrice, segretaria. “Ricordo che l'arrivo di don Pietro fu anticipato da quello di una gran quantità di libri. Quando li vedemmo arrivare restammo sorpresi, chiedendoci chissà che persona intellettuale e seriosa che arriva. Invece si dimostrò subito un giovane aperto e sempre disponibile ad ascoltare e a imparare. Serio, calmo, ma anche allegro e spiritoso: una persona riflessiva e sempre garbata, ma con la battuta sempre pronta, capace di sdrammatizzare le cose. E colpiva nel segno, capiva sempre la psicologia della persona che aveva di fronte. Per un periodo insegnò anche religione nella scuola media del quartiere, ricordo che all'inizio diceva: come faccio a riempire l'ora di parole? Nessuno mi ascolta!”.
Nei primi anni Ottanta gli spazi e le strutture della parrocchia di SS.Trinità a Schio non erano quelli di oggi.
“In canonica c'era sempre allegria, anche se si stava stretti e gli spazi erano quelli che erano - ricorda Marina Testa Antonietti -. Don Pietro si era sistemato in una cameretta a parte, perché la sua era stretta e lunga, non ci stava. Al momento di andare a Roma gli ho detto: quando diventerai Papa non dimenticarti di noi. E lui: la solita esagerata”.
Neanche tanto. E poi, c'è ancora tempo.