“Ancor oggi la gerarchia nelle aziende, retaggio del passato, è organizzata in questo modo: più si sale e più le persone possono prendere decisioni, questo andava bene in mondi più “semplici” dove in pochi potevano governare, mondi che non esistono più. Se chi può prendere più decisioni è più lontano dai problemi questo fattore è all'origine di tantissime criticità, legate appunto al modo in cui distribuiamo l’autonomia decisionale: in basso alla piramide chi sperimenta i problemi non può prendere decisioni, mentre i manager si trovano a prendere decisioni su questioni che non conoscono o che non sperimentano direttamente”.
Così Marina Capizzi, consulente di evoluzione organizzativa, executive Master Certified Coach e co-founder di PRIMATE, ospite dell’ultima tappa di Bookmarks, il format di incontri online con l’autore promosso da Niuko Innovation & Knowledge e da Aidp Veneto Friuli-Venezia Giulia. Al centro della riflessione il confronto sui temi affrontati nel suo ultimo libro, edito da Franco Angeli Non morire di gerarchia. Ridisegnare il campo da gioco per evolvere come persone, team e organizzazioni.
Una pubblicazione che, come lo ha definito la stessa autrice, “viene dal campo” e nasce dall’esperienza quotidiana di Capizzi all’interno delle aziende. “Mi sono resa conto che - ha spiegato l’autrice - a fronte di migliaia di pubblicazioni sulla leadership, tema di cui si parla ormai da decenni, non si affronta mai il nodo della gerarchia, ovvero la distribuzione delle autonomie decisionali, che rappresenta la struttura portante delle nostre organizzazioni”.
Secondo Capizzi l’attuale organizzazione della gerarchia nelle aziende è all’origine della “distanza strutturale fra problemi e decisioni, che genera lentezza”, ma anche dello “stress dei capi chiamati a prendere decisioni su temi che non conoscono” e al tempo stesso del mancato engagement dei collaboratori “che non possono intervenire su problemi che saprebbero risolvere in autonomia”.
La soluzione, ha spiegato la consulente, non passa attraverso “l’eliminazione della gerarchia, obiettivo impossibile in quanto la gerarchia è una nostra struttura mentale”, ma attraverso “il passaggio da gerarchie difensive - che si chiudono al mondo e difendono sé stesse - a gerarchie che ci mettono in connessione, come quella che pone al primo posto il cliente”.
Da qui l’invito alle aziende a “partire in questa trasformazione necessaria” con alcune indicazioni metodologiche. In primis “abbassare i costi della paura - ovvero favorire un clima in cui i collaboratori si sentano liberi di esprimersi, di contraddire i capi, di dire che hanno sbagliato, la cosiddetta sicurezza psicologica”. Fondamentale, per far evolvere la gerarchia, “anche la capacità di scommettere sul potenziale trasformativo dei team, facendo una rivoluzione mentale per considerare non l’individuo ma il team come unità di base, lavorando dunque perché i team nel loro insieme diventino sempre più capaci di prendere decisioni”.
In questo senso non esistono modelli precostituiti, ma ogni azienda, ha spiegato Capizzi, deve trovare la propria strada, le soluzioni più adatte al proprio contesto.