23/04/2014

Silvano Chiappin: l'uomo che fotografa l'anima dei popoli

Dopo l'incredibile itinerario Santorso-Sidney via terra, il fotografo vicentino si prepara a un altro viaggio: sul Kilimangiaro al seguito dell'alpinista Casarotto.

Silvano Chiappin, fotografo professionista di Santorso, è pronto per partire per un altro viaggio reportage dopo l’esperienza dell’anno scorso che lo ha portato con Denis Inderle ad attraversare tre continenti solo con mezzi di fortuna fino ad arrivare a Sydney.
Il reportage e il ritratto sono stati per lui molto più di un lavoro e gli hanno permesso di conoscere posti poco battuti dal turismo e di immortalarli in scatti che gli hanno valso riconoscimenti sia nazionali che internazionali. Solo per citarne un paio, nel 2006 è stato premiato al concorso fotografico internazionale “Orvieto Fotografia Professional Photography” nella categoria “reportage” con un servizio fotografico realizzato in Papua Nuova Guinea, tanto da fargli ottenere il titolo di fotografo dell’anno. Sempre nella stessa categoria, l’anno successivo, Chiappin è stato il vincitore del National Geographic Photography Contest.
Le sue fotografie hanno immortalato dalla nonna dell’attuale presidente degli Stati Uniti Barack Obama ad Alberto Tomba, dai paesaggi incontaminati ai popoli silenziosi, dai riti di cremazioni e sepolture all’estero a tantissimi matrimoni locali.

In quale nuova avventura sarà coinvolto quest’estate?
La méta è il Kilimangiaro. Partirò a seguito della famiglia di Paolo Casarotto, noto alpinista e mio amico, per questo viaggio con l’obiettivo di raggiungere quota 6000. Non mi sono mai avventurato in viaggi di alpinismo, ma conto sulla mia esperienza di sciatore professionista per farcela. Partiremo il 26 di luglio e in una settimana toccheremo i 6000.

Quali sono i segreti per un buon viaggio fotografico?
“I viaggi sono stati una costante della mia vita e con la macchina fotografica ho girato mezzo mondo. L’esperienza mi ha insegnato che la buona riuscita dipende dall’equilibrio di diversi elementi, alcuni dei quali sono difficilmente programmabili e prevedibili. Un aspetto fondamentale, anche se può sembrare banale, è proprio la possibilità di fotografare.
Bisogna poi partire leggeri: con un flash e un obbiettivo 24-70 si può fare praticamente tutto, anche perché a volte è più importante usare i piedi, scattare di meno e pensare di più.

Quanti anni aveva quando ha iniziato la sua carriera?
Avevo 19 anni e in quegli anni non posso dire sia stata una mia scelta. Era il 1967, mio padre era morto e mia madre si è trovata con otto figli da mantenere. Io ero il secondogenito e mio zio, Pio Formilan, che faceva il fotografo a Santorso, aveva bisogno di un aiutante nel suo negozio. Fino ad allora non avevo mai visto una macchina fotografica, ma nell’arco di due-tre anni ho acquisito l’attività e ho dato il via alla mia carriera di fotografo.
Ricordo ancora l’emozione del primo servizio fotografico per un matrimonio: era il 1968, e fu celebrato nella chiesetta delle Garziere, la sposa scese da una Seicento.

Durante i suoi viaggi cosa predilige fotografare?
Sono sempre alla ricerca di luoghi che non siano ancora stati contaminati dal turismo di massa. Cerco la gente del posto che spesso mi accoglie con curiosità e stupore. La mia fotografia è strettamente legata alla disponibilità di queste persone, per questo è importante avvicinarsi loro con tatto, scambiare un sorriso, comunicare con semplici gesti, per creare fiducia e, seppure in poco tempo, un rapporto umano. A volte bisogna avere il coraggio di lasciare la macchina fotografica nello zaino e concedersi il tempo di conoscere l’ambiente in cui ci si trova per coglierne la vera essenza, saperlo osservare per ottenere delle foto vere e spontanee.
Il fatto che sempre più persone viaggino alla ricerca del diverso e della vacanza alternativa ha comportato però un aspetto negativo nell’approccio con le popolazioni, ossia che lo scatto sia concesso a fronte di un compenso. In questo modo la fotografia diventa una posa, perde di fascino e, per me, di valore.

L’anno scorso è stato impegnato in “Passi sospesi”, un’avventura che assieme a Denis Inderle, vi ha portato a percorrere 28 mila chilometri fino all’altro capo del mondo: l’Australia...
È stata un’esperienza assoluta, un viaggio in continuo movimento e a contatto con la gente 'normale'. Abbiamo dormito nei posti più infami, anche per terra, nelle stazioni e questo modo di viaggiare, senza fretta, usando i mezzi di trasporto pubblici, ci ha permesso di conoscere da vicino i popoli.
In questo modo a volte è il caso che ti porta a realizzare determinati scatti fotografici. E’ quello che è successo a Tennant Creek in Australia: l’autobus sul quale viaggiavamo è stato bloccato a causa delle condizioni meteo e io e il mio compagno ci siamo fermati in questo luogo abitato praticamente solo da disagiati. Denis è stato perfino derubato della macchina fotografica durante la notte. Non ho un buon ricordo di quei due giorni, ma paradossalmente questa tappa forzata mi ha permesso di conoscere e vedere un’Australia diversa da quella dei cataloghi e di 'rubare' degli scorci di vita che pensavo non esistessero in quel continente.

I suoi scatti hanno anche fatto del bene.
Trovo giusto unire l’utile al dilettevole. Con la mostra fotografica 'Basta poco' a palazzo Fogazzaro abbiamo raccolto 13.500 euro che sono serviti alla onlus Anna4Children per completare un orfanotrofio in India e sostenere le spese di mantenimento annuale dei bambini ospitati. Altri 1.500 sono stati donati a padre Luigino Vitella, missionario originario di Santorso e attualmente impegnato in Burundi, con una serata di proiezione del viaggio Santorso-Sidney. Non mancherà un appuntamento pubblico nemmeno sul Kilimangiaro, appena tornerò da questa nuova avventura con il mio bagaglio di scatti fotografici.