"Il lavoro che il Ministero dell’Economia e delle Finanze sta portando avanti sui saldi di bilancio è meritorio. Non solo perché le agenzie di rating stanno restituendo all’Italia credibilità e fiducia, ma perché mantenere sotto controllo la spesa pubblica e il costo del debito è oggi una priorità assoluta. Ogni miliardo risparmiato è una risorsa che può essere impiegata in modo più produttivo, a beneficio del Paese.
Tuttavia, la domanda cruciale resta: come si ottengono questi risultati? Si aumentano le tasse – e su chi? Ad ora, per esempio, vediamo un aumento delle accise su diesel e gasolio, che incidono sul trasporto merci, oltre che sui cittadini. Si taglia la spesa – e dove?
Il sistema delle imprese italiane, quello che crea valore aggiunto, lavoro, gettito fiscale, welfare e rende positiva la bilancia commerciale con l’estero, ha già dato moltissimo negli ultimi anni. E lo ha fatto spesso sacrificando risorse che avrebbero potuto essere destinate a investimenti, innovazione e crescita della produttività: il vero punto debole dell’Italia da oltre trent’anni.
Abbiamo perso strumenti efficaci come l’ACE – che nemmeno l’IRES premiale è riuscita a sostituire – e ci siamo ritrovati con un piano “Transizione 5.0” così complesso da scoraggiare chi avrebbe voluto utilizzarlo. Il risultato è stato paradossale: miliardi rimasti fermi nei fondi ministeriali invece di trasformarsi in un volano per gli investimenti.
Dopo l’approvazione della Legge di Bilancio, il confronto tra il Governo e Confindustria ha portato, come ricordato dal presidente nazionale Orsini, a un punto di equilibrio importante su diversi punti. Tuttavia, dopo due anni consecutivi di produzione industriale negativa, è necessario guardare con lucidità alla situazione: dobbiamo mettere le imprese realmente nelle condizioni di investire in ricerca, sviluppo, competenze, beni immateriali e produttività. Non bastano gli annunci o le dichiarazioni d’intenti: servono strumenti concreti.
In questo senso, gli spiragli che si intravedono nella Legge di Bilancio vanno nella giusta direzione, soprattutto se la cancellazione dell’attuale Transizione 5.0 aprirà la strada a un ritorno – il più possibile fedele – al modello del Piano Nazionale Industria 4.0 del 2016.
Serve una norma chiara, snella, con meno vincoli e meno burocrazia: niente pre-autorizzazioni, niente attese di mesi, niente incertezza. Servono automatismi veri, capaci di dare alle imprese la fiducia necessaria per pianificare.
Per questo chiediamo che vengano ripristinati i crediti d’imposta, strumenti molto più efficaci e semplici da applicare rispetto ai super e iperammortamenti finora previsti. E che la misura abbia un orizzonte almeno triennale, mentre ad oggi è previsto un piano di incentivo all’investimento di un solo anno: assolutamente troppo poco.
Il passaggio della Legge in Parlamento – in particolare sotto gli occhi e i voti dei parlamentari veneti – e la definizione dei decreti attuativi dovrebbero puntare a un obiettivo chiaro e univoco: lasciarci investire. Rendere più semplice la vita delle imprese, almeno su questo fronte.
Perché gli investimenti produttivi non generano solo ritorni privati, ma benefici diffusi e duraturi per l’intero Paese: più crescita, più occupazione, più stabilità sociale.
Non vogliamo trovarci di nuovo a discutere del rischio di deindustrializzazione, un rischio che, purtroppo, non è più solo teorico ma che in parte si sta già manifestando.
L’Italia non può permettersi di restare ferma. Serve una politica industriale coerente, prevedibile e concreta, che accompagni il rigore dei conti con la forza della crescita".
Barbara Beltrame Giacomello, Presidente Confindustria Vicenza

