06/02/2024

Dalla Vecchia: "Sceglieremo il programma che mette al centro la fabbrica".

L'appello della Presidente: "Ci aspettiamo una Confindustria autorevole su relazioni industriali, internazionalizzazione e rapporto con l'UE".

Confindustria, tra pochi mesi, eleggerà il nuovo presidente nazionale. Sarà un incarico davvero pesante quello che si troverà ad affrontare il futuro eletto, perché il momento è di quelli che segnerà il futuro.

Lasciamo alla politica dei talk show i dibattiti sulle bandierine e le polemiche. Noi ci troviamo a nostro agio a parlare di fatti concreti. Vicenza voterà sulla base del programma, di un piano che metta al centro la fabbrica, la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione, la produttività.

Ci aspettiamo quindi una Confindustria autorevole, in particolare su 3 significativi temi.

Il primo sono le relazioni industriali, perché, a livello di sistema Italia, dobbiamo lavorare su una nuova consapevolezza dell’importanza che ha il costo dei fattori produttivi, e in particolare il costo del lavoro, per la manifattura.

Il secondo punto è l’internazionalizzazione, il nostro rapporto con i mercati esteri, i clienti internazionali, il nostro saper fare sistema nel mondo per essere protagonisti anche quando le supply chain subiscono degli choc, come abbiamo purtroppo sperimentato in questi anni.

E infine l’Europa, il grande regolatore del nostro futuro, in particolare sui temi della decarbonizzazione. Sono questioni in cui i “come” e i “quando” definiscono la sopravvivenza o meno del lavoro di migliaia di imprese.

Serve che Confindustria possa, a Bruxelles, confrontarsi con persone competenti e aperte e che all’ideologia cieca si sostituisca la razionalità, pur mantenendo ambiziosi gli obiettivi. È così che difendiamo il lavoro, e solo se c’è lavoro ad alta produttività le scuole possono funzionare, gli ospedali possono curare, le società possono prosperare. Facciamolo insieme e, da parte nostra, chiediamo che lo faccia Confindustria nazionale: al centro va messa la manifattura.

L'Italia ha bisogno della manifattura. Questo è un dato di fatto: è dalla manifattura che emerge il valore aggiunto del Paese, oltre che una bilancia commerciale con l’estero positiva. È la manifattura che in qualche modo, nonostante gli sprechi ingiustificabili che caratterizzano la nostra spesa pubblica, tiene in piedi il paese.

Lo fa grazie al prezioso contributo di tutti quelli che lavorano nelle nostre industrie. È grazie a loro che sono trainati gli altri settori: tantissimi servizi, soprattutto quelli a maggior valore aggiunto, lavorano con l'industria, talvolta in esclusiva. Il commercio, in molti casi, ne chiude la catena distributiva che, nell’alimentare, ma non esclusivamente, è invece aperta dal settore primario. In tutte queste catene del valore è comunque sempre centrale la manifattura. Senza la trasformazione che arriva dalle industrie, l’Italia perderebbe il cuore della propria economia.

Banca d’Italia ha fatto un recente e documentatissimo lavoro sulla produttività negli anni recenti, affrontando, tra le altre cose, la risposta data, dai diversi settori, negli anni delle crisi scaturite post Lehman Brothers e Covid. Anche in confronto agli altri paesi europei, l'industria italiana si conferma ai livelli dei campioni tedeschi, a cui siamo legatissimi e che oggi sono in recessione. Insomma, dallo studio emerge evidente come sia l’industria a dare il contributo decisivo alla nostra economia. E come il valore espresso dalla manifattura riesca a far fronte anche ad altri elementi di debolezza che invece il Paese presenta.

L’Italia ha bisogno della manifattura. Ma deve anche occuparsi della manifattura. Non è un pilastro che regge a prescindere. La manifattura è la nostra cultura, il nostro patrimonio che deve essere difeso perché deve essere difeso il lavoro. Invece vediamo una generale inconsapevolezza e soprattutto un disinteresse in merito al fatto che siamo ad un bivio mondiale. La manifattura, anche quella di eccellenza, sta subendo cambiamenti epocali per il Green Deal, per l’avvento dell’AI, per i cambiamenti dei costumi post-pandemia, per le tragedie a livello geopolitico.

Dobbiamo affrontare queste cose come Sistema, come Italia e come Europa e smettere di pensare che l’immobilismo funzioni o che “tanto le imprese in qualche modo ce la fanno”. Siamo arrivati al momento in cui imprese, lavoratori, terzo settore e politica devono decidere insieme che Italia del futuro vogliamo.

Sono fermamente convinta che, per noi, sia imprescindibile rimanere un paese del G7 e puntare ad avere un’occupazione che cresce e arriva alla media europea (che è al 75%, lontanissimo dai nostri standard, oggi siamo vicini al 62% e dai commenti sembra che abbiamo vinto l’Australian Open quando invece non siamo ancora arrivati a vincere il torneo parrocchiale).

E quindi non possiamo che puntare sullo sviluppo, l’innovazione e un piano armonico di crescita collettiva che abbia come centro la manifattura di qualità, produttiva, ad alto valore aggiunto e ritorno per il lavoro, gli investitori e i risparmiatori e lo Stato.

Le industrie, e i lavoratori dipendenti, sono invece da troppi anni chiamati in causa quando devono essere spremuti per garantire rendite e privilegi. Sempre quando non vengono messi all’angolo, senza tutela alcuna, da gruppuscoli composti da 2-3 consiglieri comunali che per una manciata di voti, che garantiscono un piccolo posto di potere, bloccano investimenti di milioni di euro e conseguenti posti di lavoro e aumento del PIL sul territorio. Non c’è più spazio di manovra in questo senso.

Dopo due buoni anni post pandemia, tra aumenti assurdi del costo dell’energia e dei noli, aumenti e razionamenti delle materie prime, aumento dei tassi mai visti, il 2023 si è chiuso col freno a mano tirato.

I primi dati della nostra congiuntura dicono che chiudiamo l’ultimo trimestre del 2023 con una produzione in calo del 2,47%. È il terzo calo consecutivo. Sono 9 mesi che produciamo meno dell’anno precedente. E i due trimestri precedenti erano positivi solo per uno zero virgola. Siamo fermi da più di un anno. Gli effetti si vedono già nelle casse integrazioni attivate, ma ce ne saranno di peggiori se permane l’immobilismo.

Dobbiamo, tutti noi, aumentare la produttività. A tutto tondo. Produrre meglio, lavorare meglio, viaggiare e trasportare meglio, commerciare meglio. Per vivere meglio.

Per farlo serve il lavoro condiviso, portando i relativi interessi sul tavolo ma con spirito collaborativo, di tutte le parti sociali e dei corpi intermedi che li rappresentano. Lo chiedo dalla mia prima assemblea, ed era il 2021. Si parlava di giovani, di come il sistema Paese, imprese comprese, li dovesse mettere nelle condizioni di scoprire il valore della manifattura italiana, per permettere loro di esprimersi dando il loro importante contributo alla crescita collettiva. Per poter, così, essere indipendenti e, per chi lo desiderasse, fare famiglia senza rinunciare al lavoro.

Gli ultimi dati su Vicenza e sul Veneto vedono una crescita di coloro che vivono da soli e di coloro che se ne vanno. Sono sempre meno i bambini e anche chi vuole venire qui. Abbiamo, ieri, accettato di buon grado l’apertura della Cisl di Vicenza a lavorare insieme. Si può fare, lo auspichiamo da molto. Dobbiamo farlo a tutti i livelli. A livello nazionale e sul territorio, soprattutto in un territorio forte come il nostro.

 

Laura Dalla Vecchia
Presidente Confindustria Vicenza