La quarta contromossa è l’immigrazione, da altre parti d’Italia e dall’estero. È stata lasciata in fondo volutamente, così da calcolarne la dimensione minima necessaria come residuo, una volta che siano state adottate tutte le altre contromosse. L’immigrazione richiede capacità di accoglienza e facilità di integrazione.
La domanda allora è: quanti immigrati dall’estero serviranno? Fondazione Nord Est risponde per sottrazione, partendo dal numero di occupati che verranno a mancare per effetto della glaciazione demografica e togliendo quelli che potrebbero essere recuperati con le altre contromosse: mancheranno all’appello ancora tra i 794mila e 1,1 milioni di lavoratori, che dovranno arrivare da fuori del Paese.
Attualmente, per ogni lavoratore immigrato vive nel Nord Italia un’altra persona (come peraltro accade per la popolazione italiana). Questo vuol dire che dobbiamo prepararci ad accogliere nei prossimi 17 anni tra 1,5 e 2,2 milioni di stranieri. Ossia tra 93mila e 130mila l’anno. Cifre che dovranno essere tanto più grandi quanto minore successo avranno le altre contromosse relative a giovani, donne e rinvio del pensionamento. E quanto più si vorrà aumentare l’occupazione rispetto ai livelli attuali per sostenere la crescita economica.
La distribuzione per regione del fabbisogno di immigrati varia molto. In testa c’è la Lombardia, con 415-642mila immigrati in più, seguita dal Veneto con 413-498mila dal Piemonte con 348-396mila e dall’Emilia-Romagna con 122mila-291mila. Decisiva nel determinare le differenze, oltre alla dimensione assoluta, è la attrattività dalle altre regioni del Paese.
Va sottolineato che l’immigrazione dall’estero è efficace anche contro il calo e l’invecchiamento della popolazione.
Questi numeri non sono previsioni e nemmeno prescrizioni. Sono calcoli su quanti lavoratori dovranno essere rimpiazzati e di come rimpiazzarli. Naturalmente senza considerare l’eventuale necessità di allargare la base occupazionale, ma tenendola costante ai livelli attuali; teniamo presente che per permettere la pur modesta crescita del PIL negli ultimi diciassette anni gli occupati in Italia sono aumentati di 1,1 milioni.
Questi numeri servono a far ragionare sulle enormi sfide che la glaciazione demografica porrà al mercato del lavoro del Nord Italia e quindi alle imprese che vi operano. Non c’è tempo da perdere e tutta la classe dirigente del Paese è chiamata a dare risposte concrete. Hic Rhodus, hic salta!
Post scriptum
Perché usiamo il termine "glaciazione demografica", anziché il più diffuso "inverno demografico"? L’inverno è una stagione nel ciclo annuale del moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole. Una stagione di riposo vegetativo che prepara la primavera, la quale inesorabilmente arriva, proprio perché prosegue il moto della Terra.
Tutto questo avviene con regolarità assoluta e terminerà solo quando morirà il sistema solare, tra sei o sette miliardi di anni. Quel che sta accadendo nella demografia italiana, come in quella di altri Paesi, non ha nulla di naturale e regolare, come il succedersi delle stagioni. Anzi, è la prima volta nella storia dell’umanità che la popolazione diminuisce non per guerre, epidemie, carestie o cataclismi. Perciò è errato e ingannevole continuare a parlare di "inverno": invita all’attesa, tanto passa da solo. "Glaciazione" è uno squillodi tromba che chiama all’azione, l’allarme che avverte: non c’è più tempo da perdere.
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I numeri in gioco - pubblicazione articolo martedì 25 giugno
Le contromosse attuabili:
1) Attrarre e valorizzare i giovani - pubblicazione articolo mercoledì 3 luglio
2) Coinvolgere pienamente le donne - pubblicazione articolo mercoledì 10 luglio
3) Rinviare il pensionamento - pubblicazione articolo mercoledì 17 luglio
4) Accogliere più immigrati - pubblicazione articolo mercoledì 24 luglio
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