03/07/2024

Glaciazione demografica e futuro del lavoro: attrarre e valorizzare i giovani

La prima delle quattro "contromosse" attuabili esaminate da Fondazione Nord Est (articolo 2/5).

L’attrazione e la valorizzazione dei giovani costituiscono la leva più potente per attenuare le conseguenze della glaciazione demografica. Con ricadute notevolissime.

Negli undici anni 2011-2021 se ne è andata dall’Italia una media di quasi 29mila 18-34enni all’anno, al netto di quanti sono rientrati. Allo stesso tempo, sono arrivati dai Paesi europei avanzati meno di un settimo di giovani di pari età. Pareggiare questo conto significa recuperare 25mila giovani all’anno, ossia 425mila fino al 2040.

Siccome i dati ufficiali sottostimano il fenomeno dell’espatrio dei giovani italiani da uno a tre, la leva dell’attrattività è in grado di far innalzare di oltre 1,4 milioni il numero di giovani effettivamente presenti in Italia nel 2040. La quota settentrionale è poco meno della metà (47% nel 2011-21), quindi 700mila.

È una stima assolutamente grezza e preliminare. Considera l’arresto dell’emorragia in corso piuttosto che l’avvio di un percorso virtuoso di saldi migratori positivi nei movimenti transnazionali di giovani con l’Europa avanzata. Inoltre, ricordiamo che le stime della Fondazione Nord Est al 2040 sono effettuate senza considerare i flussi migratori, proprio per evidenziare le conseguenze delle dinamiche interne; l’esodo dei giovani italiani rientra tra tali flussi; quindi, non modifica il calcolo esposto sopra. Infine, non si tiene conto del fatto che, diminuendo in prospettiva il numero di giovani, anche la portata dell’emorragia si riduce. Tuttavia, la stima fa capire la portata dei numeri in gioco nelle politiche di attrattività per i giovani.

Numeri che diventano addirittura maggiori se, come è facile ipotizzare, politiche che incoraggiassero i giovani italiani a restare o un numero equivalente di giovani europei a venire farebbero da potente calamita che indurrebbe a tornare molti di quelli che sono andati via dal 2011 in poi. In altre parole, le politiche di attrattività per i giovani potrebbero non solo annullare ma addirittura invertire di segno la differenza negativa tra 2023 e 2040 nel numero di giovani europei occidentali in Italia.

Non si tratta di politiche di immigrazione per il semplice motivo che i movimenti di persone all’interno dell’UE sono liberi e sono determinati esclusivamente dal confronto tra le condizioni di vita per i giovani nei diversi Paesi. Perciò occorre rendere più appetibili tali condizioni in Italia, in particolare nelle regioni settentrionali. Migliorare relativamente agli altri Paesi europei, cioè tenendo conto delle condizioni esistenti altrove e delle politiche che verranno adottate dagli altri governi, nazionali e locali, per migliorarle. Infatti, la glaciazione demografica accomuna tutta l’Europa e altrove si cerca di farvi fronte.

L’attrattività dei giovani agirebbe anche sul calo della natalità: infatti, si tratta di persone in piena età riproduttiva e che mettono su famiglia là dove hanno deciso di vivere e lavorare. Dunque, l’attrattività per i giovani farebbe risalire il numero di bambini.

Il grado attrattività per i giovani è diverso nelle regioni settentrionali. Le differenze sono rivelate sia dall’attrattività rivelata elaborata da Fondazione Nord Est sia dall’incidenza dell’emigrazione di giovani italiani sulla popolazione della stessa età. Questo vuol dire che le regioni con una minore attrattività (come il Veneto) sono chiamate a un’azione più intensa rispetto a quelle con maggiore attrattività (come l’Emilia Romagna). Nessuna può restare indifferente o rimanere inattiva.

Quali sono le politiche per aumentare l’attrattività per i giovani? Il ventaglio è molto ampio e tutti gli strumenti vanno impiegati. Le regioni settentrionali italiane hanno ritardi in quasi tutti gli ambiti. E la messa in campo di misure in ciascuno di essi avrebbe il massimo impatto nel fermare l’emorragia e nel mettere in moto afflussi di giovani cittadini dagli altri Paesi europei avanzati. Sono strumenti di politica pubblica e di politica privata. L’esame dell’elenco completo è rinviato alla presentazione della ricerca condotta nel 2023 da Fondazione Nord Est sulle ragioni che hanno spinto i giovani stessi ad andar via, ragioni espresse nelle loro opinioni.

Qui ci limitiamo a indicarne alcuni:

  • potenziamento dei collegamenti interni e con l’esterno, delle infrastrutture digitali, della connettività e dei servizi per la famiglia;
  • università meno autoreferenziali e più internazionali;
  • equipollenza dei titoli di studio con Paesi esterni alla UE (per esempio, gli americani);
  • retribuzioni legate al merito e non all’anzianità;
  • responsabilizzazione e autonomia decisionale;
  • governance di impresa che selezioni i vertici aziendali sulla base del merito e non dell’appartenenza familiare;
  • maggiore apertura internazionale delle imprese e della società civile;
  • disponibilità di alloggi; maggiore innovazione nelle imprese.

La lista fa capire un aspetto molto importante: le politiche per l’aumento dell’attrattività dei giovani riguardano l’intera classe dirigente italiana, pubblica e privata. Nessuno si può chiamare fuori. Tanto più che la riduzione della popolazione giovane gioca di per sé contro, perché i giovani tendono ad andare dove c’è una più elevata concentrazione di giovani, perché la socializzazione è favorita dalla sintonia di visioni, interessi, prospettive, preferenze, stili di vita.

Il rovescio della medaglia della poca attrattività delle regioni settentrionali italiane per i giovani europei è la scarsa valorizzazione dei giovani stessi. La scarsa valorizzazione è ferocemente illustrata dai più alti tassi di disoccupazione giovanile, dai minori tassi di occupazione dei giovani e dalla maggiore percentuale di NEET, i quali ricomprendono disoccupati e persone fuori dal mercato del lavoro e dal sistema di istruzione-formazione. In altre parole, sono tre indicatori di scarso coinvolgimento dei giovani nella società italiana e quindi della bassa attrattività. Serve un’azione a 360° per rovesciare lo stato di cose.

Nella graduatoria europea per percentuale di NEET le regioni settentrionali italiane si posizionano nella parte alta, essendo la prima l’Alto Adige al 54° posto (su 202) fino alle ultime trenta posizioni.

Secondo le stime della Fondazione Nord Est la riduzione della percentuale di NEET nel Nord Italia dai valori attuali ai livelli delle regioni olandesi, le migliori europee, comporterebbe un guadagno occupazionale di 155mila persone nel 2040. È un obiettivo troppo ambizioso? Forse, ma la glaciazione demografica impone di darsi obiettivi ambiziosi. Inoltre, le misure per la riduzione dei NEET avrebbero un grande effetto sulla stessa attrattività, perché sarebbero misure per i giovani. I maggiori guadagni si avrebbero in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte.

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I numeri in gioco - pubblicazione articolo martedì 25 giugno

Le contromosse attuabili:

1) Attrarre e valorizzare i giovani - pubblicazione articolo mercoledì 3 luglio

2) Coinvolgere pienamente le donne - pubblicazione articolo mercoledì 10 luglio

3) Rinviare il pensionamento - pubblicazione articolo mercoledì 17 luglio

4) Accogliere più immigrati - pubblicazione articolo mercoledì 24 luglio

 



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