"Gli industriali vicentini credono ancora nel sistema produttivo italiano? E' la domanda rimbalzata sulla stampa locale a partire da alcuni casi di riorganizzazione aziendale in corso in provincia. Provo a dare una risposta - scrive Giuseppe Zigliotto in un intervento sulla stampa - , non soltanto come presidente degli Industriali vicentini, ma anche come imprenditore che da tempo ormai si pone a sua volta questa stessa domanda. Perché è vero: cominciamo a far fatica a crederci, a essere stanchi di vedere che le cose in questo paese cambiano a velocità così lenta da accumulare sempre maggiori ritardi nei confronti dei nostri competitor. Cominciamo a essere stanchi di una burocrazia ottusa programmata come nei videogiochi per mettere sempre nuovi ostacoli in partita. Stanchi di quegli atteggiamenti ostili verso l'impresa che avevo denunciato due anni fa nell'assemblea di Confindustria Vicenza e che da allora anziché diminuire sono anzi ulteriormente aumentati".
"La verità - continua il presidente degli Industriali berici - è che gli imprenditori vicentini sono stati degli eroi a resistere in questi anni di crisi e a tenere in vita le loro aziende. E con loro lo sono stati i lavoratori, cui va riconosciuto il merito di aver creduto nelle imprese e di aver dato il massimo. Se il nostro territorio ha sofferto meno di tutti gli altri questi lunghi anni di crisi e ha saputo agganciare prima la ripresa, mantenendo un tasso di disoccupazione ben più basso della media nazionale, è perché la grande maggioranza degli imprenditori non ha mollato, neanche di fronte alle evidenze più negative, neanche nei periodi in cui la cultura anti-industriale esprimeva segnali più radicali, neanche davanti alle sirene di paesi vicini che attiravano a sé con offerte marziane rispetto a quelle italiane.
E' un po' difficile pensare che un imprenditore possa acquistare altre imprese in un Paese dove l'Agenzia delle Entrate può arrivare a contestare operazioni relative a 10 anni prima, anche nel caso di aziende da poco acquisite e per errori risalenti a molti anni prima relativi alle precedenti gestioni; dove una giustizia che lavora con tempi e organizzazione da quarto mondo impedisce a un'azienda di avere certezza del diritto sulla definizione dei contenziosi e tiene lontano gli investimenti dal nostro paese; dove anche le ultime norme sul falso in bilancio mostrano la volontà di colpire l'imprenditore in maniera trasversale; dove anche le logiche del credito remano dalla parte sbagliata, visto che un'impresa che acquisisce un'altra impresa va a peggiorare il proprio rating e dunque ad aumentare il proprio rischio, anziché essere favorita per la scelta fatta".
"Certamente le condizioni di competitività del nostro paese non aiutano a convincere un imprenditore ad assumersi rischi in più rispetto a quelli che già affronta tutti i giorni - afferma il presidente di Confindustria Vicenza -. Non è difficile capire perché un gruppo straniero che, nonostante tutto, decide di investire in Italia punti sui marchi italiani di prestigio e non sull'avvio di una nuova impresa o sull'acquisto di un'azienda consolidata: da un lato avviare una nuova attività in Italia, con i livelli di burocrazia che abbiamo, ha del masochistico; dall'altro le aziende esistenti con solida capacità produttiva sono oggi meno interessanti perché dopo anni di crisi c'è ancora un evidente esubero di capacità produttiva.
Dunque la risposta alla domanda iniziale è che gli imprenditori vicentini provano a crederci ancora, ma sono stanchi di essere gli unici a farlo. Vorrebbero che a crederci fossero anche la politica, le forze sociali, la pubblica amministrazione, il mercato del credito, in definitiva il paese. Vorrebbero che si facesse qualcosa per valorizzare le imprese, non che si attribuisse loro soltanto doveri e responsabilità. Il Paese ripartirà davvero se ci sarà finalmente una concreta e convinta apertura e disponibilità nei confronti delle imprese. Cosa che siamo ben distanti dal vedere".
"La verità - continua il presidente degli Industriali berici - è che gli imprenditori vicentini sono stati degli eroi a resistere in questi anni di crisi e a tenere in vita le loro aziende. E con loro lo sono stati i lavoratori, cui va riconosciuto il merito di aver creduto nelle imprese e di aver dato il massimo. Se il nostro territorio ha sofferto meno di tutti gli altri questi lunghi anni di crisi e ha saputo agganciare prima la ripresa, mantenendo un tasso di disoccupazione ben più basso della media nazionale, è perché la grande maggioranza degli imprenditori non ha mollato, neanche di fronte alle evidenze più negative, neanche nei periodi in cui la cultura anti-industriale esprimeva segnali più radicali, neanche davanti alle sirene di paesi vicini che attiravano a sé con offerte marziane rispetto a quelle italiane.
E' un po' difficile pensare che un imprenditore possa acquistare altre imprese in un Paese dove l'Agenzia delle Entrate può arrivare a contestare operazioni relative a 10 anni prima, anche nel caso di aziende da poco acquisite e per errori risalenti a molti anni prima relativi alle precedenti gestioni; dove una giustizia che lavora con tempi e organizzazione da quarto mondo impedisce a un'azienda di avere certezza del diritto sulla definizione dei contenziosi e tiene lontano gli investimenti dal nostro paese; dove anche le ultime norme sul falso in bilancio mostrano la volontà di colpire l'imprenditore in maniera trasversale; dove anche le logiche del credito remano dalla parte sbagliata, visto che un'impresa che acquisisce un'altra impresa va a peggiorare il proprio rating e dunque ad aumentare il proprio rischio, anziché essere favorita per la scelta fatta".
"Certamente le condizioni di competitività del nostro paese non aiutano a convincere un imprenditore ad assumersi rischi in più rispetto a quelli che già affronta tutti i giorni - afferma il presidente di Confindustria Vicenza -. Non è difficile capire perché un gruppo straniero che, nonostante tutto, decide di investire in Italia punti sui marchi italiani di prestigio e non sull'avvio di una nuova impresa o sull'acquisto di un'azienda consolidata: da un lato avviare una nuova attività in Italia, con i livelli di burocrazia che abbiamo, ha del masochistico; dall'altro le aziende esistenti con solida capacità produttiva sono oggi meno interessanti perché dopo anni di crisi c'è ancora un evidente esubero di capacità produttiva.
Dunque la risposta alla domanda iniziale è che gli imprenditori vicentini provano a crederci ancora, ma sono stanchi di essere gli unici a farlo. Vorrebbero che a crederci fossero anche la politica, le forze sociali, la pubblica amministrazione, il mercato del credito, in definitiva il paese. Vorrebbero che si facesse qualcosa per valorizzare le imprese, non che si attribuisse loro soltanto doveri e responsabilità. Il Paese ripartirà davvero se ci sarà finalmente una concreta e convinta apertura e disponibilità nei confronti delle imprese. Cosa che siamo ben distanti dal vedere".